giovedì 17 novembre 2011

Un po' di arte in libreria

Avete mai avuto l'impressione di aver visto un libro su un certo tavolo e poi, improvvisamente e senza apparente motivo, trovarlo da tutt'altra parte? A me capita di frequente, grazie ai miei colleghi e soprattutto al capo. Qualche giorno fa però mi sono accorto che era successa una cosa ancora più strana: il libro che cercavo era effettivamente al suo posto, ma non era il libro che cercavo. Cioè, pensavo fosse quello, invece era un altro. Io cercavo questo:


ma quando mi sono diretto sicuro sul tavolo di storia non ho trovato la novità Mondadori e al suo posto c'era invece una novità Bollati e Boringhieri, questa:


Prima reazione: non è possibile. Con tutto quello che c'è da mettere in copertina questi due (mi riferisco ai grafici delle case editrici - io parlo spesso con i grafici, quando non trovo un libro), questi due, dicevo, sono riusciti a mettere la stessa cosa. Per un libraio la copertina è fondamentale, al pari della "costa" del libro, e sarebbe auspicabile che 1) i libri di case editrici diverse avessero copertine diverse e 2) i libri con la copertina blu non avessero la costa rossa o gialla. Ma lasciamo stare il discorso delle coste e torniamo alle copertine.
Il vero problema è che nessuno ha avuto un idea molto originale visto che non più di un anno fa era uscito un libro da Mimesis, questo:

che mi aveva colpito, oltre che per il contenuto, proprio per la copertina. Casualmente giusto pochi mesi prima ero stato a Berlino ed avevo visto l'opera raffigurata, così era normale che fossi incuriosito dal libro (a volte basta così poco...) e lo notassi in mezzo al mare di novità prenatalizie. Ora, visto che l'immagine mi viene riproposta in modo così insistente, ho deciso di smettere i panni del libraio e per un po' rimettermi quelli del professore. Quindi ragazzi seduti, che si comincia.
L'opera si intitola Shalechet (parola ebraica che significa "foglie cadute") ed è un'installazione permanente che si trova a Berlino nel Judisches Museum. Realizzata tra il 1997 e il 2001 (anno di inaugurazione del museo) dall'artista israeliano Menashe Kadishman (1932) è costituita da oltre 10.000 dischi di metallo dalla forma irregolare e forgiati in modo da assumere l'aspetto di un volto urlante, collocati in modo disordinato sul pavimento di uno degli spazi vuoti del museo.

Il visitatore è invitato a percorrere questo corridoio che non conduce da nessuna parte, essendo solo uno spazio che si incunea tra due ali del museo.
L'impatto visivo con questa distesa di volti urlanti è impressionante al punto che molte persone si rifiutano di "entrare", si fermano sul limite, osservano e ascoltano. Chi decide di percorrere lo spazio che lo separa dal fondo buio del corridoio, un buio che ha sicuramente un significato simbolico, deve prima di tutto vincere la resistenza a calpestare un oggetto che, seppur inanimato, rappresenta comunque una forma umana. Ci si trova nella condizione del persecutore, o dell'indifferente, di chi sapendo ha continuato la sua strada.

Lo spazio amplifica il rumore dei passi sul metallo e bastano pochi visitatori per creare l'inquietante sensazione di trovarsi in una fucina, o una fabbrica. Il pensiero immediatamente corre a quegli ebrei che sono stati utilizzati come forza lavoro nelle fabbriche tedesche.
Bisogna fare attenzione perché si cammina su una superficie irregolare a causa dello spessore dei dischi; si guarda dove si mettono i piedi e viene spontaneo cercare di evitare qualcuno di questi volti ma è impossibile. Si cammina lentamente e il corridoio sembra non finire mai. Al culmine di questo viaggio si viene colti da un senso di pietà che non è "dovuta", che non nasce dalla riflessione ma che deriva direttamente dall'esperienza in cui quest'opera d'arte ci immerge.
Secondo Arturo Schwartz si possono riconoscere almeno due ascendenti. Il titolo richiama la nota poesia di Ungaretti:
SOLDATI
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
mentre i volti stilizzati sono forse un ricordo dell'urlo più famoso della storia dell'arte.

© Nasjonalmuseet / Munch-museet / Munch-Ellingsen-gruppen / BONO 2010. Foto: Jacques Lathion / Nasjonalmuseet
Sono solo due delle possibili suggestioni che l'artista ha rielaborato per creare quest'opera indimenticabile, un'opera aperta che "dice" poco e lascia al fruitore lo spazio della riflessione. Le molteplici interpretazioni che se ne possono dare non fanno che arricchirla di nuovi significati. L'andare verso il buio ad esempio, che ho già suggerito essere un percorso simbolico, a me ha ricordato Canova.


Quando sento dire che l'arte contemporanea "non si capisce" penso ad opere come questa di Berlino e mi abbandono al pessimismo.

venerdì 4 novembre 2011

Il post precedente ha ricevuto un paio di commenti che sono arrivati al cuore del problema: i lettori sanno benissimo cosa vogliono. Un tempo, e parlo di un secolo fa, il libraio poteva dire di essere il tramite fra lo scrittore e i lettori; se un libraio di una grande città si impegnava poteva fare la fortuna di un giovane autore e allo stesso tempo poteva suggerire agli editori le opere che, se pubblicate, avrebbero incontrato il favore del pubblico. Oggi il ruolo del libraio qual'è? I lettori entrano in libreria già perfettamente informati su ciò che vogliono (amnesie a parte) grazie a giornali, televisione, blog e persino cartelloni pubblicitari. Sì, lo so che è tutto marketing ma tant'è, la gente vuole quello e a volte quello che vuole non è nemmeno male. A questo punto noi non facciamo altro che prendere il libro, magari dal tavolo sistemato all'ingresso, e imbustarlo. Nella filiera del libro, scandalosamente lunga, siamo diventati uno degli anelli deboli, assieme agli agenti (loro sì in via di estinzione) e persino agli editori. Oggi non solo gli editori possono fare a meno delle librerie grazie alla vendita diretta su internet, ma persino un autore può tranquillamente pubblicarsi e vendere il suo libro senza bisogno di nessun intermediario tra lui e il pubblico. E con l'ebook sarà ancora più facile. Dunque perché stupirsi se la figura del libraio ha perso quel bagaglio di competenze che un tempo erano la sua prerogativa?
E' difficile valutare ora l'impatto che avrà la legge sugli sconti per il futuro delle librerie. Io posso dirvi quello che sta succedendo adesso. Sui siti di vendita on line c'è uno sconto fisso al 15%, su tutto. In libreria le campagne si rincorrono, si sovrappongono e creano una confusione imbarazzante persino a noi, figuriamoci ai clienti. Che oltretutto ormai considerano lo sconto come un atto dovuto. Ora, che io sappia in Italia, a parte il libro, l'unico prodotto che arriva in negozio con il prezzo stampato sulla confezione, e quindi fissato all'origine, è il medicinale. Qualcuno ha mai provato ad andare in farmacia a chiedere uno sconto? Ultima trovata: la campagna su un singolo titolo. Siamo al limite della legge: la novità viene venduta, per un periodo limitato di tempo, con uno sconto superiore al 15%. Gli sconti escono dalla porta, rientrano dalla finestra. E' stato fatto con il nuovo di Carofiglio ma non so se l'idea prenderà piede. Qualcuno dice che alla lunga il prezzo di copertina dovrà diminuire. Io non ho mai visto diminuire niente in vita mia, a parte i miei capelli. Staremo a vedere.

martedì 1 novembre 2011

Gli sconti non sono tutto. Servono i buoni librai

Circa un mese fa Romano Montroni ha pubblicato un articolo su Repubblica a proposito della cosiddetta legge Levi, quella sugli sconti, detta anche legge anti-Amazon per il suo palese ed unico obiettivo: mettere un freno alla conquista del colosso americano di una bella fetta del mercato italiano. Una legge "contra aziendam" su cui nessuno ha avuto da ridire.
Il libraio è un po' contraddittorio nei confronti della legge: quando si presenta un cliente a chiedere lo sconto assume l'espressione affranta di chi vorrebbe quasi regalare il libro se potesse, ma questa legge che lui è costretto a subire gli impedisce ogni slancio di generosità; quando invece ne parla fuori dal negozio (tra le gente, sui giornali, sui blog) allora benedice la legge come unica difesa dell'esistenza stessa delle librerie.
L'articolo di Montroni è molto piaciuto ai miei colleghi perché non approfondisce il problema e si limita a fare l'apologia della figura del libraio. In sostanza dice: oggi i libri non si vendono perché al posto dei librai di una volta (e Montroni è uno che sa di cosa parla) ci sono solo giovani commessi ignari di che cosa sia il mestiere (naturalmente parla di me). Non sono gli sconti ad attrarre il pubblico, a far vendere un libro; quello che serve è un libraio competente, capace di consigliare e di creare attorno a sé un ambiente adatto alla circolazione di idee. La libreria deve tornare ad essere terreno fertile su cui coltivare cultura. L'ultima metafora è mia, ma tanto gira e rigira il concetto è sempre quello. E' come se i cosiddetti "vecchi librai" avessero messo un disco che va in loop.
Il problema è che Montroni, come la Valeri, non è bugiardo, ma reticente. Cosa intende quando parla del mestiere? Perché non dice che il mestiere del libraio è prima di tutto un fatto di commercio, il che significa vendere i libri, belli o brutti che siano? In realtà, per come la vedo io, Montroni sta dicendo: se non si vendono i libri è perché non ci sono persone capaci di convincere i clienti a comprarli. E in questo ha ragione. Se non si riporta il ragionamento coi piedi per terra, se non si smette di parlare di cultura ogni volta che esce un romanzo, se non la si smette con la storia che il-libro-non-è-una-merce-come-un'altra, non si capiranno mai certe dinamiche che invece a me sembrano chiarissime e che si riducono a un concetto semplice: il mestiere del libraio è vendere. L'orizzonte del libraio è la vendita, non la lettura. Che poi certi clienti vogliano sentirsi parte di un cenacolo di eletti e per questo vogliano un libraio alla loro altezza, questo è un altro discorso.
A questo punto mi viene in mente l'aneddoto riferito al momento in cui Steve Jobs tornò in Apple da salvatore della patria dopo esserne stato allontanato. Alla domanda sul perché i prodotti della Apple in quel momento non avessero successo Jobs rispose lapidario: perché fate prodotti di merda. Ecco, io penso che se la gente non compra il prodotto "libro" il motivo è sostanzialmente lo stesso. Quindi né sconti né bravi librai, semplicemente buoni libri. E forse qualche editore dovrebbe farsi un esame di coscienza.