mercoledì 29 dicembre 2010

Claudio Magris
Microcosmi
Garzanti 1997

Claudio Magris, "Microcosmi", Garzanti 1997

Certo che Magris deve scrivere maledettamente bene. La sua qualità deve essere nascosta, un profumo, una musica, un calore talmene leggero e suadente che dopo un attimo smetti di farci caso ed è come se non ci fosse. Non ho altra spiegazione per il fatto di essere riuscito a leggere un libro in cui sostanzialmente non succede niente. Un libro senza trama.
Ogni capitolo prende spunto da un luogo ben conosciuto (un bar, una montagna, un parco...) che la penna dello scrittore trasforma in un incredibile microcosmo popolato di personaggi inverosimili e dalle loro storie minime e imprevedibili.
Una delle questioni che si presentano quasi subito ma che non si riesce a risolvere fino alla fine del libro è proprio la dose di realismo che l'autore mette nel racconto. All'inizio pensavo che i personaggi descritti fossero inventati; nel secondo capitolo però entra in scena Mauro Corona, non ancora scrittore famoso ai tempi dell'uscita del libro e definito semplicemente come scultore. Uno dei tanti che all'uscita del libro deve aver fatto pensare a molti: «Impossibile che esista uno così». E invece esiste.
Il libro racconta di persone, racconta di luoghi e di come le distinzioni fra un posto e un'altro, fra una persona e un'altra non siano altro che tentativi artificiosi per definire qualcosa di sfuggente come l'identità.
Ci sono confini che hanno a che fare con lo spazio ed altri con il tempo; leggendo questo libro sembra che in entrambi i casi questi confini non chiedano altro che di essere oltrepassati. Il bar, la foresta, la laguna sono tutti luoghi in cui le diversità che i confini cercano di circoscrivere e definire finiscono col confondersi. I confini definiscono le identità per sottrazione ma il risultato finale non può che essere il nulla.
Lontano da ogni moralismo o retorica, Magris riesce a riflettere sul tema dell'identità con una ricchezza di spunti che forse solo un triestino avrebbe potuto trovare.

mercoledì 22 dicembre 2010

I bambini e la filosofia

Ieri mi è capitata una cliente da servizi sociali. Voleva "Il mio primo libro di filosofia" per suo figlio, a occhio e croce di nove o dieci anni. Mentre le cercavo il libro la cliente si produceva in un'esaltazione del valore di quel libro, della sua capacità di stimolare la mente del giovane figliuolo, della superiorità di questo libro rispetto a libri cosiddetti "per grandi". Capita spesso che i clienti cerchino l'approvazione del libraio rispetto alle loro scelte ma il più delle volte non vogliono altro che sentirsi dire, in forma indiretta: si capisce che sei una persona intelligente (o, come in questo caso, un bravo genitore), si capisce dai libri che compri. Il libro come strumento di approvazione sociale.
Ma andiamo avanti. Il figlio, già abbastanza stimolato dalla madre (il padre immagino sia già scappato da un pezzo) non è evidentemente interessato al gioco che gli ho proposto "trova il libro per la mamma" e sta sfogliando un libro sugli animali.
- Posso avere questo?
La madre non guarda nemmeno il libro.
- Cosa bisogna fare in questi casi?
- Non fermarsi alla prima scelta, valutare diverse possibilità e solo dopo un'attenta analisi prendere una decisione.
- E allora?
- Allora continuerò a guardare per capire se è veramente questa la scelta migliore per me.
- Bravo.
Un bambino così non si recupera più. Comunque "Il mio primo libro di filosofia" non è stato trovato. Meglio così.

venerdì 17 dicembre 2010

Ancora qualche riflessione su Amazon.it

Vorrei promettere di non occuparmi più di Amazon per un po', ma come si fa a fare certe promesse... In fondo Amazon è un po' come Mourinho, antipatico perché fuori dalle regole, simpatico per lo stesso motivo. E come per Mourinho le peggiori cose su Amazon le dicono i "colleghi".
Sento i rappresentanti dei vari editori che discutono tra loro. La domanda che tutti si fanno è: chi ha dato i libri ad Amazon se quando ha aperto noi non ne sapevamo niente? Chi dice Fastbook, chi Mondadori Francising; siamo ancora nella fase in cui si cerca qualcuno a cui dare la colpa. Non ci vorrà molto per scoprire l'arcano: le scorte finiranno (molti titoli sono già non disponibili) e vedremo chi calerà le braghe per primo.
Altra cosa inconcepibile è il fatto di avere i magazzini in Francia. Un libro ordinato a Roma parte per la Francia, poi torna a Orio al Serio e infine a Roma. Un bel giro senza dubbio, ma è tanto diverso da quello che succede con la distribuzione italiana? Basta pensare a quello che sta succedendo con PDE...
Poi ci sono gli sconti. Come fanno a vendere col trenta per cento di sconto? Lavorano in perdita? L'idea che questa è un'azienda di livello mondiale fatica a prendere corpo nelle loro teste. È lo stesso sistema dei supermercati, solo applicato all'editoria: avendo un'offerta diversificata posso permettermi di perdere da una parte se guadagno da un'altra. Immagino che Amazon guadagni bene vendendo orologi.
Riassumendo, mi pare che tra gli addetti ai lavori si stia tentando di spiegare il comportamento di Amazon usando le categorie del mercato editoriale italiano, categorie evidentemente inadeguate visto che portano ad una innegabile incomprensione del fenomeno. Basterebbe invece leggere l'intervista rilasciata a Severgnini dai due boss di Amazon (su Sette) per capire con precisione in quale direzione stiamo andando.
"Il cliente comanda" è il loro motto ed è molto più di un semplice "il cliente ha sempre ragione". E qual'è la prima cosa che vuole il cliente? Prezzi bassi. Per questo motivo la strategia di Amazon è molto semplice: passato questo periodo "promozionale", per ogni libro si posizionerà al livello dell'offerta più bassa dei siti concorrenti. In questo modo il cliente saprà di poter contare sempre sul prezzo più basso (anche se alla pari con qualcun'altro) e la concorrenza dovrà necessariamente deporre le armi, pena l'annientamento. Non tutti lo hanno capito: ho visto siti proporre sconti del 32% su alcuni bestseller che Amazon aveva al 30%; risposta di Amazon: 33% di sconto. Avanti così.
Ma il cliente vuole anche sapere se il libro c'è davvero e quando arriverà. Da questo punto di vista la mia speranza è che dal confronto con Amazon i siti italiani siano spinti a migliorare la qualità delle loro informazioni al cliente. Il paragone in questi giorni è veramente impietoso: Amazon informa i clienti del numero di copie in magazzino, della possibilità o meno di ricevere il libro entro Natale e, quando non è sicuro di consegnare in tempo sentite cosa dice: «Vuoi la consegna entro Natale? Questo articolo ha dei tempi di spedizione più lunghi e verrà consegnato dopo il 25 dicembre». Quale sito italiano è così onesto?

martedì 14 dicembre 2010

Ultime prima di Natale

Stanno iniziando i fuochi d'artificio e la situazione è grosso modo questa.
Da Fazio stanno andando i pezzi da novanta dell'editoria, Augias, Grossman e chissà chi altro. Siamo in balia di un programma televisivo che detta la lista della spesa degli italiani di cultura medio alta, quelli per intenderci che non si fanno influenzare dalla televisione. Il sabato sera anche il libraio che vorrebbe fare qualcosa di diverso, tipo leggersi un libro, è costretto a guardarsi un'ora e mezza di televisione solo per sapere cosa verranno a chiedere i clienti il giorno dopo. Libro e televisione sono ormai intimamente legati, forse ne parlerò più estesamente in futuro, quando le acque si saranno calmate.
Crisi di panico diffuse: manca il libro di Benedetto XVI, atteso per l'Immacolata arriverà, se va bene, per la fine di questa settimana. Dentro di me godo perché la Vaticana sembra essere l'unica ad andare contro il mercato con le sue scelte editoriali sconsiderate. Il libro manca da almeno due settimane ma stranamente Avvenire lo dà in testa alla classifica.
Possibile e auspicabile sorpresa: l'autobiografia di Franca Valeri.
Possibile e auspicabile flop: Impero di Alberto Angela.

venerdì 10 dicembre 2010

Tra le molte cose che può fare il cliente per mandarmi in bestia quella che si verifica più di frequente è seguirmi mentre vado alla ricerca di un libro. Una copia, un anno che è in giro, non è a scaffale, non si trova. E dietro di me un idiota che pensando di essere simpatico commenta:
- Ma non sono in ordine? Ma come fate a trovarli? Io diventerei matto!
Ricapitolando: il libro non si trova, il cliente mi guarda ammirato (vedrai come sarai contento quando te ne andrai senza libro) e il capo, da lontano, sta visibilmente perdendo la pazienza. Cosa può succedere ancora?
In psicologia deve esserci un nome per descrivere questo comportamento umano. Il cliente che guarda insistentemente il libraio cercare, finisce col ripetere mentalmente la stessa azione finché questo tipo di gratificazione diventa insufficiente. E fa il bel gesto:
- La posso aiutare?
Se rispondi «No perché non sei capace» rischi la figura del pirla ancora prima di arrenderti all'evidenza che il libro non c'è. Infatti nemmeno tu troverai il libro. Se rispodi «Prego, faccia pure» puoi star sicuro che il libro salterà fuori esattamente dove avrebbe dovuto essere, solo che non sarai tu a trovarlo.
Ed anche in questo caso prendi e porta a casa.

domenica 5 dicembre 2010

Ogni maledetta domenica (fino a Natale)

Sì, l'incasso è buono. Anche qualcosa di più. Eppure io continuo a pensare che non è giusto lavorare la domenica. Sono sicuro che l'apertura domenicale non fa altro che concentrare in un giorno l'incasso che altrimenti verrebbe spalmato su tutta la settimana. Perché se uno ha deciso di fare i regali di Natale in un modo o nell'altro li fa, non c'entra niente il giorno.
Tanto più che anche la domenica ti vedi arrivare gente con la lista dei libri per l'università e dato che gli universitari di oggi sono tutti fancazzisti non vedo perché debbano farsi venire la voglia di studiare proprio oggi.
La domenica è fatta per riposare, non per andare a far la spesa. E io oggi non ho riposato per niente.

mercoledì 1 dicembre 2010

Questa sera ho letto un articolo di Enzo Bianchi che mi è molto piaciuto, anche se alla fine si è rivelata la solita marchetta. E mi sono detto: questa è una cosa che in futuro potrei aver voglia di rileggere. Non sapendo dove metterlo per non perderlo, lo copio qui. Può sembrare che la tavola non abbia niente a che fare con la libreria ma a pensarci bene... quanti tavoli, quanto cibo, quanti commensali, quanti ospiti ci sono anche in un posto come questo!
* * *
Stare a tavola, ecco le buone regole
di Enzo Bianchi
Di tutto il mobilio che arreda una casa, la tavola è forse l’elemento più eloquente. La sua grandezza, in particolare, dice molto dei padroni di casa: se sono una famiglia piccola o numerosa, se per loro la tavola è semplicemente un luogo su cui consumare il cibo oppure uno spazio per stare tutti insieme anche con gli ospiti. Che tristezza una tavola piccola, alla quale non si possono invitare «gli altri», una tavola stretta, magari addirittura «a scomparsa».
Ricordo che un tempo la tavola era un mobile di cui essere orgogliosi: in legno massiccio, collocata come regina al centro della cucina, attirava subito lo sguardo di chi entrava. Le sue gambe solide e mai traballanti, modellate al tornio oppure squadrate, colpivano l’attenzione, al pari del suo piano, sempre in vista, che fosse di marmo o di legno nobile come il ciliegio o il noce, mai avvilito da una squallida cerata, anzi spesso adornato da pochi, semplici, oggetti quotidiani che lo riportavano con gusto alla sua essenza di fulcro di convivialità: un cesto di frutta, una pagnotta e un orcio d’olio, una composizione di zucche ornamentali...
Tutto questo, certo, prima che agli inizi degli anni Sessanta irrompesse la praticissima iattura dei ripiani in formica. Avvenne allora un’autentica rivoluzione: tutti si affrettarono a mettere in cantina o a vendere per pochi spiccioli i vecchi tavoli di solenne austerità per introdurre esili tavoli come rattrappiti, colorati con tonalità assurde. Certo, i nuovi oggetti erano lavabili, non richiedevano più la tovaglia, ma nel contempo smarrivano la loro identità e il loro significato, a volte cedevano anche la solenne e regale collocazione al centro della stanza, magari per far posto al vuoto che consentisse di fissare lo sguardo verso il nuovo idolo, la televisione. Subii a malincuore quel mutamento anche a casa mia, ma con la netta percezione di assistere a qualcosa che aveva a che fare con la barbarie, con il venir meno del senso dello stare a tavola. Ed è quanto purtroppo avvenne...
Eppure la tavola è il luogo attorno al quale si consuma un rito proprio, fra tutti gli animali, solo all’essere umano: quello di mangiare insieme e non in competizione con i propri simili. E, mangiando, parlare insieme: la tavola è il luogo privilegiato per la parola scambiata, per il dialogo: si comunica attraverso il cibo che si mangia e attraverso le parole che si scambiano. Mentre uno parla, gli altri mangiano e ascoltano, poi i ruoli si invertono quasi spontaneamente: chi tace smette di mangiare e inizia a parlare e chi ascolta riprende a mangiare. Forse, anche a questo serviva l’ingiunzione di «non parlare a bocca piena».
Nessuna idealizzazione però in questa intima connessione tra il mangiare e il parlare: quando ci si siede a tavola, mescolato al desiderio e al bisogno di mangiare, c’è anche un sentimento di aggressività verso l’altro; oppure c’è il mutismo ostile che trasforma lo stare insieme in fastidio reciproco. Occorre disciplina, consapevolezza dell’aggressività che ci abita: si tratta di evitare di parlare spinti da ciò che emotivamente ci domina, di vigilare sull’umanizzazione del nostro rapporto con il cibo e con la parola. Non a caso la sapienza monastica prescrive di iniziare i pasti in silenzio, dopo una preghiera di benedizione e ringraziamento. È un atteggiamento che andrebbe ripreso anche fuori da un contesto religioso, trovando adeguate modalità per porre una distanza tra sé e il cibo, per prendere coscienza di non essere i soli o i «primi» attorno a quella tavola e, di conseguenza, vigilare sulle parole che escono dalle nostre labbra.
Se è degna di tal nome, la tavola la si accende quando ci sono invitati. Invitare qualcuno – parenti, amici, conoscenti... – è un atto di grande fede, di profonda fiducia nell’altro: significa infatti chiamarlo, eleggerlo, distinguerlo tra gli altri conoscenti; significa confessare il desiderio di stare insieme, di ascoltarsi, di conoscersi maggiormente.
Chi non pratica questa ospitalità vive in angustie, vive «poco», mi verrebbe da dire. Non conosce la gioia che è maggiore nell’invitare che nell’essere invitati. Occorrerebbe saper invitare senza mai pensare alla reciprocità: l’atto in sé è ricompensa. Non è un caso che anche nel Vangelo, uno degli insegnamenti di Gesù che ridimensiona l’assoluto della reciprocità – oggi tanto di moda quando ci fa comodo – riguarda proprio l’invito a tavola: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio».
Poter dire in verità «la mia casa è aperta, la mia tavola non è solo per me e per i miei» significa aprirsi agli altri, dar loro fiducia, disporsi a lasciarsi arricchire dalla loro presenza, a nutrirsi di sapienza e di amicizia, a veder dischiudersi nuovi orizzonti. Non si tratta di fare della propria tavola un «salotto» che esibisca lo status raggiunto, bensì di saper vivere la fraternità, lo stare insieme, l’amicizia gratuita.
Quando c’è un ospite a tavola cresce la capacità di benedizione e di gratitudine, così che quando giunge il momento dei saluti alla fine del pasto ci si apre a una promessa orientata al futuro: ci sarà ancora un domani per ritrovarci, avremo ancora nuove possibilità di incontro... Chi mi ha educato mi diceva sempre che è la tavola il luogo in cui ci esercitiamo a vivere la fede, la speranza, l’amore.
La tavola è il luogo della fiducia nell’altro, dello sperare insieme qualcosa di comune per il futuro, dell’amore nello scegliere, preparare, offrire e servire il cibo agli altri. In questa scuola di umanizzazione tre elementi legano il pasto dall’inizio alla fine: il pane, le bevande e la parola. Ma è la parola che costituisce il legame più profondo fra tutti gli attori del pasto: è la parola che narra gli alimenti diversi che giungono in tavola, è la parola che unisce i presenti e gli assenti, i commensali e gli altri, è la parola che mette in relazione il passato con il presente, aprendoli al futuro.
La parola a tavola può essere davvero strumento di comunione, mezzo privilegiato per conferire senso al pasto, per valorizzare il gusto degli alimenti, per suscitare l’arte dell’incontro. Stare a tavola insieme è un linguaggio universale tra i più determinanti e decisivi per l’umanizzazione di ciascuno di noi. A tavola, piccoli e grandi, vecchi e giovani, genitori e figli, siamo tutti commensali, tutti con lo stesso diritto di parola e con lo stesso diritto al cibo che arricchisce la tavola. Davvero stare a tavola è molto più che saper nutrirsi: è saper vivere.
da: Avvenire, 1 dicembre 2010, p. 31

lunedì 29 novembre 2010

Come comprare libri su internet

L'esperienza comune di chi acquista libri su internet (parlo di siti italiani) è più o meno quella che segue.
Una volta individuato il libro desiderato sul sito preferito, o semplicemente sul primo della lista restituita da Google, si apre una schermata di informazioni e qui per il cliente iniziano le insidie.
Per molti sprovveduti il solo fatto di aver trovato la scheda del libro significa che il libro c'è, anche se al posto del carrello della spesa compare una scritta rossa "esaurito" grossa così. E allora telefona all'assistenza e chiedi perché non si può ordinare e passa da un operatore all'altro finché non lasci perdere per conto tuo.
Poi ci sono i prezzi, almeno due per ogni libro: prezzo di copertina e prezzo scontato. Se poi ci sono le offerte apriti cielo. Le offerte sono fatte apposta per fregare i clienti che si credono più furbi di chi le ha progettate. Più onesti sì, ma più furbi no. Cinquanta per cento di sconto, poi vai a vedere bene e ti accorgi che lo sconto si applica solo sulla parte di spesa che supera una certa soglia. In pratica se la soglia è 100 euro e tu spendi 101 euro, ti fanno lo sconto del cinquanta per cento su un euro. Se poi c'è di mezzo il non book non servono nemmeno tutti questi giochetti, basta alzare il prezzo all'origine.
Poi c'è la questione della disponibilità. La domanda è: quanto ci vuole per avere il libro? La risposta è degna dell'oracolo di Delphi. Se il libro è disponibile subito significa che in magazzino ne hanno una, forse due copie. Va da sé che se esce una recensione, ne parla Saviano, inizia un corso universitario... insomma quella copia non basta per tutti, ma serve ad illuderti perché l'aggiornamento delle giacenze viene fatto di notte e te l'immagini quanti sono quelli che ordinano quell'unica copia durante tutta la giornata? Tu compri, paghi e poi ricevi una mail che ti informa che il libro è in ristampa (perché quand'è così il libro va dritto in ristampa). Insomma il libro c'è e non c'è.
Quando il libro non c'è i siti cercano di dimostrarsi professionali dando una tempistica indicativa per l'arrivo del libro. Tre giorni. Sì, ma tre giorni per averlo in magazzino, non a casa tua; che poi diciamoci la verità, quando mai un libro arriva in tre giorni? La risposta più professionale alla domanda sarebbe un bel «non si sa» ma chi li sente poi i grandi capi del marketing?
Ciliegina sulla torta: il corriere. Sì perché noi siamo abituati con il postino che suonava e se non trovava nessuno lasciava il pacco all'ufficio postale del paese. Oggi però i pacchi viaggiano con i corrieri, veloci quanto si vuole ma molto sbrigativi in fatto di buone maniere; non ci sei? Lascio il pacco in un magazzino a venti chilometri da casa tua e fra un mese torna da dov'è venuto. E tutto questo viaggiare ha un costo e chi credi che lo paghi?
Poi non è detto che vada sempre così. Oggi ad esempio mi è passato sotto il naso un libro ordinato al fornitore la mattina e pronto per la spedizione alla sera: botta di culo storica, nient'altro.

sabato 27 novembre 2010

Due ragazzi di oggi

Stasera, mentre mangiavo l'avanzo di pizza della cena dei miei, ho alzato la testa dal piatto all'improvviso. Un ragazzino con qualche problema familiare alle spalle stava cantando un versione dance di "Albachiara" sotto gli occhi soddisfatti dello zio Gerry. Dietro di lui sgambettavano un po' di ballerine che sembravano poco interessate al minorenne davanti a loro e si rivolgevano con il loro esplicito linguaggio del corpo direttamente agli spettatori un po' maniaci come me. Insomma, niente di insolito nel sabato sera televisivo.
Fatto sta che a un certo punto (ed è questo che mi ha fatto alzare la testa) sento qualcosa che non va: «con la mente, con la mente tu voli» al posto delle parole, già parecchio ambigue che tutti, ma proprio tutti sanno a memoria. Chiaro: il ragazzo deve fare la parte di quello innocente anche se non vede l'ora di andare in camerino a farsi la più grande delle ballerine. Quindi figuriamoci se Albachiara può sfiorarsi con la mano, questa è l'età dell'innocenza, questi sono i nostri bambini.
Oggi ad esempio viene da me un ragazzino. Io non sono bravo a indovinare l'età della gente ma questo non poteva avere più di quindici anni. Un bambino, per gli standard di oggi.
- Avete qualcosa sulle bombe a mano...
No, ho capito male.
- ...tedesche, della prima guerra mondiale?
Sento su di me lo sguardo dei presenti, quindi massima professionalità, zero facce strane e soprattutto mai giudicare il cliente. Bombe a mano.
Faccio una rapida panoramica della libreria. Il mio collega esperto di armi da fuoco è lontano, non può aver sentito la richiesta. Forse ce la faccio a cavarmela da solo senza creare un futuro terrorista, cosa sicura se fosse finito in mani sbagliate. Fortunatamente io sono un po' bacchettone, giudico sempre il cliente e il più delle volte scelgo quello che è meglio per lui secondo criteri di bassa morale cattocomunista.
Accompagno il piccolo Unabomber allo scaffale; sto per dire la fatidica frase che inizia con «mi dispiace...» quando mi accorgo che il suo sguardo è fisso sulla costa di un libro (De Agostini, se non ricordo male) in cui campeggia la scritta "Bombe a mano". Il libro, solo per questioni di spazio, è su uno scaffale troppo alto perché il bombarolo lo possa afferrare da solo e, dato che non sembra intenzionato a tentare un'improbabile scalata che si risolverebbe quasi sicuramente con la sua morte ed il mio ferimento grave, sono costretto a prendere io stesso il libro e metterlo nelle sue dolci mani. Lo sfoglia rapidamente.
- Non avete qualcosa di più specifico?
Io sono anche un po' ingenuo perché continuo a domandarmi che razza di insegnante farebbe fare una ricerca ad un ragazzo, per quanto bravo, sulle bombe a mano tedesche della prima guerra mondiale. Trovo anche il tempo di considerare che semmai dovremmo parlare di bombe austriache, ma questo non è importante, almeno per il mio piccolo cliente. Lui vuole qualcosa di più specifico.
Stavolta mi assicuro prima che non ci sia nulla, poi sentenzio in modo definitivo:
- Mi dispiace, è tutto quello che abbiamo.
Ecco, mi sono sentito in colpa per tutto il giorno per il modo in cui ho trattato il piccolo cliente. Poi stasera ho visto la trasmissione dello zio Gerry e il senso di colpa mi è passato.

mercoledì 24 novembre 2010

Amazon e gli editori

Il mondo dell'editoria è in fibrillazione.
Un piccolo editore, che non nomino perché questa non è una gogna mediatica, oggi si è accorto che i suoi libri sono venduti su Amazon col 30% di sconto senza che questo sia stato precedentemente concordato. Questo, dice l'editore, non è rispettoso della nostra professionalità; di conseguenza abbiamo deciso di non rifornire Amazon dei nostri libri ed invitiamo tutti gli altri editori a fare lo stesso. Punto.
Saputa la notizia sembra che il direttore di Amazon abbia tentato il suicidio.
Comunque, a parte il fatto che di "forzature" come questa nel recente passato ne abbiamo viste anche troppe, non si capisce dove stia il problema per l'editore. Il suo margine di guadagno non cambia e semmai questa sarà una buona scusa per alzare ancora i prezzi. Altro che rispetto della professionalità. Il problema si pone per chi i libri li deve vendere, lui sì che avrebbe di che lamentarsi. Ma il mondo dell'editoria italiana è piuttosto strano, somiglia al monte Olimpo dove gli dei si conoscono tutti, fanno affari stringendosi la mano, sono molto permalosi con chi li critica e non permettono a nessuno che venga da fuori di usurpare il loro trono. Possono anche farsi i dispetti tra loro, basta non esagerare.
Ecco, Amazon sta esagerando, solo che Amazon è grosso e delle strette di mano non sa cosa farsene.
Arriveremo veramente al boicottaggio? Aspettiamo che domani mattina al piccolo editore arrivino sulla scrivania i fax degli ordini di stanotte (nel nostro settore si usano ancora i fax), poi ne parleremo.

martedì 23 novembre 2010

Arriva Amazon.it

Oggi si consuma la piccola vendetta delle piccole librerie: apre Amazon.it.
I grandi rivenditori on line italiani si sono fatti per anni la guerra a suon di sconti facendo fatturati astronomici. Conseguenza numero uno: il prezzo dei libri è cresciuto perché nessuno regala niente, nemmeno su internet. Conseguenza numero due: le piccole librerie hanno chiuso, stanno chiudendo o chiuderanno. Dei librai si sono perse le tracce già da un po' e al loro posto ci sono commessi, centralinisti, magazzinieri. Le librerie che hanno la disgrazia di avere un sito internet per la vendita on line hanno trasfigurato il cliente del negozio "vero" in un rompiballe che invece di ordinare su internet viene qui a far perdere tempo.
I lettori sono complici e vittime di questa situazione: rincorrendo la convenienza economica hanno perso la qualità del servizio. I libri sono sempre gli stessi, ovunque.
Ma ora c'è Amazon.it.
Scorrerà il sangue a Natale, ne sono sicuro. Sarà una corsa al massacro, si faranno sconti pazzeschi che sfioreranno il quaranta per cento. Ma alla fine la piccola libreria avrà la sua vendetta. Amazon.it darà una mazzata ai negozi on line italiani, e sarà una mazzata pesante. Altro che e-book.

giovedì 18 novembre 2010

Fabio Metitieri
Il grande inganno del web 2.0
Laterza 2009

Ci sono libri che esauriscono quasi tutto il loro interesse nel primo capitolo. Questo è uno di quelli.
Una delle tesi è molto interessante, anche se forse non è originale: dobbiamo abituarci a pensare il mondo dei blog non come una rete, in cui tutti sono uguali, ma come una piramide.
L'autore prende nettamente posizione versi i Vib, Very Important Blogger, che sarebbero in cima alla piramide e riuscirebbero a mantenere la loro posizione grazie ai numerosi link "offerti" dalla base composta da tanti piccoli blogger sconosciuti.
Questo sistema si basa sul meccanismo di valutazione di Google che mette in cima ai suoi risultati le pagine che ricevono più link reputandole più importanti delle altre. Ecco il motivo per cui raramente quello che cerchiamo compare tra i primi risultati della ricerca.
Il meccanismo è già imperfetto di suo; se a questo si aggiunge il sistema di AdSense che fa guadagnare soldi in base al numero di visite ad una pagina, è chiaro che la tentazione di organizzare uno scambio reciproco di link tra chi sta in cima alla piramide e chi sta sotto è molto concreta. La blogroll, in parole povere, serve a questo.
In questo modo i piccoli alimentano la visibilità ed i guadagni dei grandi ricevendo in cambio, se va bene, un link di ringraziamento.
Ma non è questo l'inganno a cui si riferisce il titolo. Secondo l'autore la definizione di 2.0 non rifletterebbe un vero cambiamento nel mondo della rete, o almeno non al punto da giustificarne una nuova "versione". I contenuti creati dagli utenti (alla base della rivoluzione 2.0) sono in realtà sempre esistiti, così come le liste di discussione. Al contrario si assiste oggi ad un proliferare di fuffa che, tutt'altro che limitata dalla guardia che i Vib asseriscono di svolgere nei confronti dell'informazione, è in grado di debordare ed invadere anche la tradizionale carta stampata.
Si tratta quindi di un saggio ricco di spunti di riflessione per chi si occupa di blog e non ha un'infarinatura su questi argomenti. Peccato che dopo aver descritto il contesto generale della blogosfera l'autore si perda un po' dietro a questioni francamente troppo specialistiche per essere anche interessanti.

domenica 14 novembre 2010

Il dirigente scolastico

Verrebbe da chiedersi a cosa serva fare un concorso per dirigenti scolastici. Basterebbe vedere che razza di gente viene in negozio per comprare i famosi manuali con i quiz per distinguere quei pochi che salveranno la scuola da tutti gli altri che la porteranno allo sfascio.
Certo, il mio giovane collega non ha tutti i torti quando commenta: «Sempre meglio dei professori», altra bella categoria di squinternati, ma qui si tocca con mano la legge che tutti i sottoposti sospettano regga il mondo del lavoro: fai carriera solo se sei un idiota.
Tanto per cominciare sembra che per loro gli anni non siano passati, nel senso che non hanno imparato niente dall'ultima volta. Quanti concorsi avranno fatto? Uno per l'abilitazione all'insegnamento, sicuro, forse una prova di ammissione all'università. Dovrebbero averlo capito che questi libri per la preparazione dei concorsi non servono a niente. Invece no, ripongono in loro la stessa cieca fiducia di quando avevano vent'anni. Li cercano disperatamente come se il solo fatto di possederli fosse già un titolo preferenziale per l'assunzione. Qualcuno poi si mette anche d'impegno e fa tutti, dico: tutti i quiz, convinto che i selezionatori siano così ingenui da copiare le domande del concorso da questi libri.
A parte il fatto che inventare domande difficili è una delle poche cose divertenti che capita a un commissario; steso un velo pietoso sugli errori madornali che contengono (e per i quali, guarda un po', alcuni si sentono in diritto di chiedere il rimborso al libraio); taciuto del fatto che nonostante la varietà apparente questi libri si somigliano tutti perché chi li prepara non fa altro che copiare; verificato che comunque ci sono candidati che cercano quello della Maggioli piuttosto che quello della Edises perché hanno sentito dire che è il migliore... tutto ciò premesso, non riesco veramente a capire come si possa pensare che un libro abbia il potere di fare i miracoli, perché di questo parliamo, miracoli.
- Cerco i libri per il concorso...
- Per bibliotecario?
- No
- Per asilo nido?
- No
- ??
- Per dirigente scolastico.
A questo punto dovrebbe essere chiaro: il tuo aspetto, il tuo modo di presentarti, anche il tuo modo di parlare, camminare, respirare e se questo non bastasse anche la persona che ti accompagna, verosimilmente tua madre, tutto dice chiaramente che non hai l'aria di essere uno adatto per fare il dirigente scolastico. Al limite l'assistente di biblioteca. Se fossi in te cercherei di guadagnarmi la stima del libraio, che in questo momento è il tuo unico amico, facendo qualcosa di straordinario come ad esempio orientandoti da solo tra gli scaffali, magari sfruttando quei cartelli che abbiamo sistemato apposta perché qualcuno li usi. Su uno c'è scritto "Pedagogia" e basterebbe associare pedagogia e scuola per capire che i libri che cerchi sono tutti lì. Ma tu hai deciso di stupirmi in un altro modo.
Ti porto davanti ai due scaffali sui quali abbiamo sistemato i libri per il concorso. Sono tanti, servono due scaffali.
- Ecco, qui ci sono i libri che cerca.
- Quelli sopra o quelli sotto?
Li hai guardati? Prima di chiedere hai guardato? Non hai visto che sono perfettamente uguali? Un minimo di spirito di osservazione ce l'hai o pensi che per fare il dirigente non serva?
- Ma secondo lei è meglio se prendo solo i quiz o anche il manuale?
- Dipende dal suo livello di preparazione.
Ecco, mettere il seme del dubbio in una persona che non sa nemmeno valutare la sua preparazione è la cosa più bieca che si possa fare perché in un attimo il dubbio si trasforma in terrore. Ma il terrore, quasi sempre, genera un acquisto, e noi non siamo qui per salvare la scuola, siamo qui per vendere.

giovedì 11 novembre 2010

Senza titolo

Oggi potrei raccontare due cose che sono successe, una divertente, l'altra no.
Racconto la seconda.
Viene da me un signore anziano che cerca qualche libro sull'alzheimer. Trovo qualcosa, un piccolo Mulino, un Franco Angeli di Vigorelli che piacerebbe leggere anche a me, insomma tiro fuori quello che ho ed inizio l'indagine.
Il cliente è sempre un po' restio a dirti a cosa gli serve il libro ma se non si fa qualche domanda si rischia una serie infinita di «mah, non so» che sempre più spesso, ultimamente, si conclude con un «devo chiedere perché non è per me». D'altra parte anche un bambino capirebbe che qui siamo in un campo minato, malattie e cose del genere, sempre meglio non approfondire troppo.
- Voglio capire i motivi del comportamento di chi è malato di alzheimer.
Io guardo i miei libri e capisco due cose. La prima è che questo cliente forse se ne andrà con un libro ma in quel libro non troverà le risposte che cerca. La seconda è che ho tra le mani una bomba che sta per esplodere e l'unica cosa da fare è liberarsene, al più presto.
- Mia moglie...
Troppo tardi. Come la maggior parte delle persone che hanno problemi familiari anche questo cliente non resiste e deve raccontare tutto al libraio.
- Mia moglie è appena morta e aveva l'alzheimer.
Ho guardato i suoi occhi: normali. Tenere sotto controllo gli occhi di una persona aiuta a capire se la sua situazione emotiva è stabile o inizia a precipitare. Nel caso del mio cliente ho notato molta dignità. Mi sono sentito più tranquillo ed ho iniziato a parlare dei libri, cioè ho provato a vendere. Naturalmente parto dal piccolo Mulino, seguito da "La conversazione possibile con il malato di alzheimer".
- Questo ormai non mi serve più...
Occhi lucidi, ci siamo. Adesso crolla. Io mi immagino la scena di me che lo abbraccio sotto lo sguardo degli altri clienti. Poi penso che no, la soluzione è un'altra: fai il libraio, non lo psicologo, stai sul pezzo, non farti coinvolgere.
Invece è più forte di me.
- Anche mia nonna aveva l'alzheimer.
Inizio a parlare della malattia attingendo a piene mani alla mia esperienza. Dico che le motivazioni del comportamento dei malati vanno cercate nel loro vissuto, che è come se riaffiorassero dal passato alcuni tratti del loro carattere che il tempo aveva sepolto. Insomma cerco di fargli capire che ogni malato è diverso e solo lui può trovare, nel suo vissuto con la moglie, le risposte che cerca.
E, tra parentesi, non sono nemmeno sicuro di dire delle cose sensate.
La situazione rimane in bilico per un po', occhi asciutti, occhi lucidi, poi alla fine, quando vedo che non c'è niente da fare, cioè che il cliente non accetta la soluzione che gli suggerisco (non troverai mai le tue risposte in un libro) gli metto in mano il piccolo Mulino, gli dico che è il libro che fa per lui e lo saluto.
Sono quasi sicuro che tra non molto questo cliente tornerà da me.

domenica 7 novembre 2010

Lo indovino con una

Nella mia pur breve carriera ho già lavorato con tre gestionali. All'inizio è strano, poi ti abitui e non ci fai più caso anzi, finisce che certi automatismi li ripeti anche in situazioni che permetterebbero altre soluzioni. Ma il cliente tutte queste cose non le sa. Non sa che dei tre gestionali con cui ho lavorato non ce n'era uno che permettesse di fare ricerche libere per parole chiave.
- Erano gestionali per poveracci!
Niente da fare. Il primo girava su DOS e, sia detto tra noi, non sarà stato bellissimo da vedere ma faceva il suo sporco lavoro in modo più che dignitoso. Ma se dovevi cercare un titolo era meglio uscire e aprire Alice.
Il secondo gestionale si chiamava Biblos e nonostante avessi nei suoi confronti un pregiudizio ideologico (girava su Windows e non era altro che un grosso database Access) e non facessi che lamentarmi per la macchinosità di certe procedure, oggi devo riconoscergli dei meriti. Certo, fra questi non c'è la ricerca bibliografica; anche in questo caso era più veloce cercare in internet e dato che nel frattempo Alice mi aveva abbandonato ho imparato ad usare con profitto il buon vecchio SBN.
Adesso lavoro con quello che se non è il migliore è senz'altro il più costoso gestionale in circolazione. Qui non c'è ideologia che tenga. Graficamente è orrendo anche se molto, molto funzionale. Una bella schermata che ti dice tutti i dati che ti servono per trovare un libro. Intendo trovarlo in libreria perché se si tratta di ricerca bibliografica la soluzione migliore è ancora la solita Alice, nel frattempo tornata al mio servizio.
Domanda: a nessuno è mai venuto in mente che potrebbe essere utile avere un campo con scritto "ricerca libera" che facesse esattamente quello che fanno tutti i motori di ricerca? E' così difficile?
Ora, tutto questo non sarebbe nemmeno un grosso problema, tanto in un modo o nell'altro il libro si trova. Ma come dicevo all'inizio il cliente non lo sa.
Il cliente ti telefona e ti chiede un libro dicendoti un titolo. Incompleto, se va bene, sbagliato nella maggior parte dei casi e sempre, sempre convinto che articoli, preposizioni ed altri dettagli non siano importanti perché tanto la ricerca la fai per parole chiave. E invece sono proprio i dettagli che fanno la differenza, sono quelli che ti fanno perdere tempo perché se al tuo gestionale non dai il titolo esatto, virgole comprese, tu il libro non lo trovi.
- Ma "nel Vaticano" o "del Vaticano"?
- Lei metta "Vaticano", sono sicuro che c'è la parola "Vaticano", appena uscito, ne han parlato ieri da Augias... ha la copertina nera.

domenica 31 ottobre 2010

Solo una libreria in meno

Volevo scrivere qualcosa su certi clienti ma venerdì sera mi hanno dato una notizia che mi ha lasciato di sasso: la mia vecchia libreria sta per chiudere.
Che i conti non tornassero lo sapevano tutti, io stesso ho aspettato per mesi di prendere il mio ultimo stipendio. Sembra però che da quando me ne sono andato le cose siano peggiorate, e non poco. Inoltre è cambiata parte della dirigenza e forse qualcuno si è stancato di coprire i lampi di genio di certi incapaci.
Fatto sta che per me è come se mi stesse morendo un parente. Pensavo che se fosse successo avrei provato soddisfazione perché sarebbe stata la dimostrazione che chi si lamentava di me e della mia gestione si sbagliava di grosso e stava avendo quello che si meritava. Ora la mia vendetta è arrivata ma io resto con l'amaro in bocca.
E' uno spazio che rimane vuoto, una parte della mia vita che non può essere riempita da nient'altro. E non è solo questione di ricordi; quel negozio rimane il mio negozio perché io l'ho preso e rivoltato come un calzino, mentre chi è venuto dopo di me non ha spostato neanche una sedia. Non c'è uno scaffale che io non abbia sganciato, non un libro che io non abbia avuto almeno una volta tra le mani. Ho trovato soluzioni a problemi che i miei dirigenti nemmeno vedevano e per le quali ovviamente nessuno mi ha mai ringraziato. E tutto senza spendere una lira. Sembravo MacGyver, prendevo un cubo di legno dalla cantina e lo usavo per la vetrina, con gli scatoloni dei libri facevo i rialzi dei tavoli, coi cassetti dei mobili esponevo la cartoleria... e tutto è ancora come l'ho lasciato.
Chi è venuto dopo di me è salito sulla barca ma invece di continuare a remare si è lasciato portare dalla corrente. Solo che sappiamo tutti (intendo noi che capiamo qualcosa di librerie) dove porta la corrente.
Le librerie chiudono, una dopo l'altra, e la gente esulta perché vince il mercato. Un mercato drogato da prezzi astronomici, guerre di sconti, promozioni una dietro l'altra, casi letterari ben pilotati, marketing da supermercato. E in fondo è giusto che sia così perché quello che conta è vendere, tutto il resto sono solo chiacchiere.

giovedì 28 ottobre 2010

Finché siamo in pochi va bene...

Porca miseria, adesso ci sono anche i lettori. Non ci voleva proprio.
Mi toccherà dare una sistemata alla casa, pulire un po', magari dare una tinteggiata alla grafica del blog, che a distanza di qualche mese fa già schifo. Il web invecchia alla svelta, a quanto pare.
Vorrei chiarire una cosa. A volte parlo di me come di un libraio, succede soprattutto con persone che non conosco ed alle quali non voglio dare l'idea di essere professionalmente un fallito. Allora se qualcuno mi chiede che lavoro faccio rispondo semplicemente: faccio il libraio, ben sapendo che un terzo delle persone a cui lo dico ignorano del tutto che cosa significhi l'espressione "fare il libraio", un terzo pensa che io lavori in una biblioteca e tutti gli altri pensano che le librerie siano come quelle di "C'è posta per te".
Con i colleghi invece cerco sempre di distinguermi, non mostro mai il minimo segno di orgoglio per questa professione e con i clienti poco ci manca che mi dichiari un incapace buono solo di usare il computer.
D'altra parte c'è poco di cui vantarsi al pensiero che con una laurea (di quelle di una volta) e una specializzazione (sempre di quelle) faccio un lavoro che, parliamoci chiaro, non richiede né lauree né specializzazioni, tanto meno quelle delle scuole librai.
In conclusione? Boh. Da una parte mi fa comodo sapere di poter essere qualcuno, ma dall'altra mi va stretta ogni definizione che mi imprigioni definitivamente.
La mia professione è retta dal verbo "fare", non dal verbo "essere".

domenica 24 ottobre 2010

Ricominciamo

Ma sì, ridiamo vita a questo blog che sembrava morto e sepolto.
Perché l'ho abbandonato? Perché lo riprendo? Perché nessuno lo legge?
Comincio ad averne le tasche piene di vendere libri. Sono stanco dei clienti. Voglio cambiare lavoro ma ho paura che l'alternativa sia peggiore di quello che lascerei. E allora scrivo per sfogarmi un po', con la certezza che nessuno mi legge, e comunque nessuno mi conosce.
E poi voglio essere cattivo.

giovedì 20 maggio 2010

Libertà di stampa

Questa storia della libertà di stampa è veramente ridicola. Gli editori firmano appelli per la libertà di stampa come se fossero i paladini della democrazia, come se senza di loro dovesse succedere chissà che cosa...
Io mi guardo attorno e vedo centinaia di libri stampati ogni settimana da questi stessi editori, novità di cui nessuno sente la mancanza che riempiono tavoli, scaffali, magazzini e sottoscala, libri che nessuno ha voglia di schedare e che dopo un po' qualcuno inserisce solo per poter compilare la resa. E non mi riferisco solo ai piccoli editori, il più delle volte dei velleitari idealisti che non sanno fare altro che pubblicare se stessi e loro quattro amici; no, io penso soprattutto a quelle pilette di libri pubblicate dai grandi editori, che restano lì sul tavolo per settimane senza che nessuno si accorga di loro e che rimarrebbero tali se non fossero un giorno toccate dalla grazia di un passaggio televisivo da Fazio o da Augias.
A questo serve la libertà di stampa? A pubblicare schifezze?
Si dice che questi libri (le schifezze) servono per poter pubblicare i libri come Gomorra. Non è vero: Gomorra ha fatto guadagnare a Mondadori tanti di quei soldi che avrebbero al contrario permesso di dire di no a molti sciagurati; lo stesso vale per Piemme con Il cacciatore di aquiloni ed in genere per tutti quelli che hanno un titolo in cima alle classifiche.
Libertà di stampa. Ma per favore, ridateci la censura!

domenica 18 aprile 2010

Carla Bianco
Di mestiere facciamo i perdenti
Società Editrice Fiorentina 2009

Le prime pagine mi avevano lasciato un po' perplesso: troppi aggettivi per i miei gusti e la prosa non riusciva a decollare. Poi forse mi sono abituato al modo di scrivere dell'autrice o forse è la scrittura che è realmente diventata più fluida, fatto sta che non ho più fatto caso agli aggettivi e mi sono concentrato sul racconto.
Mi è sembrata un po' strana la scelta del primo capitolo. Un giovane sbarca su un'isola, si innamora di una prostituta e dopo qualche tempo viene trovato morto. Tutto questo viene raccontato in un flashback da Annunziata, la prostituta, ormai vecchia.
Poi si passa a narrare le vicende di Giacomo, nato da una relazione tra suo padre ed una ballerina ed allevato dalla nonna e dalle due zie.
Il primo capitolo è quindi un anticipo del finale che però è troppo slegato dal seguito della trama; per questo non crea suspance e, alla lunga, nemmeno più attesa visto che il racconto non è certo breve. Sì, di tanto in tanto uno si ricorda che alla fine c'è qualcuno che muore ma questo non influisce in nessun modo sull'atmosfera del racconto. Anche perché sappiamo bene che il mistero sarà svelato solo alla fine.
È come se la vicenda dell'omicidio fosse stata aggiunta in un secondo momento per dare una "cornice" ai capitoli centrali del racconto.
In effetti è proprio questa la parte meglio riuscita, quella in cui l'autrice (alla sua prima opera) dà la prova migliore delle sue doti narrative. Pochi dialoghi, molte descrizioni e soprattutto una grande attenzione nella costruzione psicologica dei protagonisti sono le caratteristiche principali di quello che potrebbe essere definito un romanzo storico neorealista.
I personaggi secondari sembrano proprio usciti da un film di De Sica e se non fosse per alcune pagine un po' spinte si potrebbe proporre come lettura per le vacanze ad una classe delle superiori (sì, è vero, sono un po' bigotto).
L'unico punto debole del romanzo è dunque nella struttura.
Io avrei fatto così: procedendo su piani temporali diversi avrei sviluppato le due storie in parallelo, quella dell'omicidio e quella di Giacomo, arrivando solo alla fine a descrivere l'omicidio e la breve indagine che ne segue. Infine avrei dato qualche indicazione temporale per chiarire che le due vicende non si svolgono contemporaneamente.
Insomma, per concludere, l'autrice è brava a creare i personaggi ma le manca una buona storia dove metterli.

mercoledì 3 marzo 2010

E l’anticlericalismo riempie gli scaffali

di Stefano Andrini
Nel cuore di Bologna, da qualche tempo, c’è odore di anti-clericalismo. Succede alla libreria Coop Ambasciatori dove sul tema è stato recentemente allestito un settore, con tanto di etichetta di riconoscimento. Davvero sorprendente in un luogo, non certo di nicchia, che tenta la sintesi tra le due anime della città: la dotta e la grassa. Affiancando le eccellenze della gastronomia ai bestseller. Eppure nel tempio della cultura di massa basta chiedere al primo infopoint e, con gentilezza e sollecitudine, si è accompagnati allo scaffale di una tematica che, a prima vista sembrerebbe interessare solo una élite. Bisogna salire al secondo piano per trovarlo.
Un po’ nascosto tra libri di religioni orientale e di scienze umane. Il catalogo, una cinquantina di titoli in tutto, è abbastanza mimetizzato. Compaiono, in ordine sparso, promesse di rivelazione sconcertanti ed esclusive: dalla Bibbia atea alla storia criminale del cristianesimo, tutto Odifreddi e tutto su cardinali e cortigiane, insieme all’immancabile reportage sull’Opus Dei segreta. I clienti che affollano la libreria non sembrano particolarmente attratti: ma, ammonisce l’ultimo numero del Regno-attualità in un articolo di Maria Elisabetta Gandolfi che si occupa della vicenda, «se il libraio decide di creare una sezione apposta da offrire all’acquirente ciò significa che tanti titoli formano una linea e che, pur essendo il sentimento anticlericale antico quanto quello clericale, oggi questa linea si fa consistente».
Quello bolognese è il primo caso in Italia, mentre Oltreoceano è un fatto assodato, visto che nelle grandi catene librarie – esempio Barnes & Noble – compare da tempo il settore "atheism" vicino a quello dedicato a cristianesimo, cattolicesimo, islam, buddismo… Annota ancora Gandolfi: «Mi domando, poi, se tra i due scaffali (l’anticlericale e il religioso) non via sia una relazione uguale ed opposta ovvero se questa parentela non sia la chiave di lettura che il mondo laico ha del fatto religioso in Italia».
L’iniziativa della libreria bolognese è uno «specchio dei tempi», commenta Andrea Menetti di Rebeccalibri, il portale dell’editoria religiosa italiana. «Il primo punto su cui interrogarsi è se la scelta di uno scaffale ad hoc nasca da una richiesta crescente o se invece abbia l’obiettivo di indurre e allargare il consumo di questo genere editoriale. L’altra grossa domanda è se questi titoli sono prodotti in maggioranza nel mondo anglosassone, in Francia o in Germania o se invece sono editi in Italia: in questo caso il discorso si fa più complesso e sicuramente non siamo di fronte ad una goliardata. Perché un conto è il giallo con le sue pur discutibili ricostruzioni: più grave invece quando si va a toccare l’essenza stessa della fede».
«Nelle librerie laiche – osserva Giuliano Vigini, direttore dell’Editrice Bibliografica – cresce il settore religioso anche perché sono molti i grandi editori che pubblicano volumi sul tema. E’ più difficile invece trovare una sezione religiosa ordinata. Tra religione, esoterismo, satanismo si rischia l’effetto suk». E la mescolanza, secondo Vigini, crea problemi di orientamento. «Prendiamo il caso bolognese. L’etichetta anti-clericalismo rischia di essere fuorviante se comprende sia i libelli polemici trainati dai passaggi televisivi sia le opere di studio sul fenomeno. Il risultato è che si rischia di relegare in una sorta di riserva queste sottosezioni. Per risolvere il problema sarebbe importante che le librerie adottassero suddivisioni più larghe come "attualità religiosa" o "i giovani e la fede", solo per fare alcuni esempi». Vigini propone infine un consiglio agli editori cattolici (4000 titoli all’anno, il secondo posto dietro la narrativa anche come tiratura) che fanno sempre fatica ad entrare nelle librerie laiche. «Anche questo è un problema di orientamento. Una top ten dei libri di cultura religiosa faciliterebbe la scelta della libreria anche sotto il profilo della classificazione delle opere».
«Se c’è uno scaffale sull’anticlericalismo» annota il sociologo Ivo Colozzi «significa che c’è una domanda crescente del mercato». E spiega così il fenomeno. «La Chiesa è diventata segno di contraddizione. Se fino a qualche tempo fa era parte integrante del nostro bagaglio culturale, ora ha spinto l’acceleratore sulla proposta e sull’identità. E questo suscita reazioni di ostilità che trovano un riverbero anche nella produzione editoriale». Secondo Colozzi la comparsa dell’anti-clericalismo nel «supermercato» dei libri non ingabbierà il fenomeno né lo renderà meno trasgressivo. «Qualsiasi tendenza culturale oggi ha bisogno del supporto mediatico. Senza l’etichetta che identifica lo scaffale anche l’anti-clericalismo non esisterebbe».
Da parte sua l’opinionista Gianni Gennari commenta: «Sorridiamo malinconicamente sul fatto indegno che, se cerchi una Bibbia o un Vangelo in una grande libreria laica, ti guardano come un estraneo e però viene ospitato tutto ciò che va contro la Chiesa. Mentre nelle librerie cattoliche trovi spesso anche i libri più laicisti e stupidi». Ma il problema vero, secondo Gennari, è intendersi su cos’è l’anti-clericalismo: «C’è quello sacrosanto che ha origine nel Vangelo ed è stato professato dai grandi santi. Una ribellione sana contro l’utilizzo della fede cristiana a scopo di potere. Ma nel caso della libreria di Bologna si va oltre l’anticlericalismo: per dare spazio soprattutto all’anti-cristianesimo e all’anti-papismo. E alla tendenza culturale che ritiene mitico e irrazionale tutto ciò che fa riferimento alla fede cristiana».
«La presenza di certe collane in libreria – aggiunge Gennari – non mi meraviglia. Ma la risposta dei cattolici non deve essere improntata alla paura cedendo alla tentazione di rispondere con esagerazioni ad altre esagerazioni. Di fronte all’anti-clericalismo le nostre armi si chiamano coraggio e mitezza, solidità e rinnovamento del nostro modo di comunicare».

da: Avvenire, 2 marzo 2010
(vedi l'articolo originale)

martedì 16 febbraio 2010

Come si diventa famosi (cose che succedono in una libreria)

Hoepli: L' hanno preso qui ma nessuno se n' è accorto
di Massimo Pisa
SI AVVICINA alla cassa centrale, piano terra, davanti alla vetrata che affaccia sulla via che porta il suo nome. «È qui che hanno preso le banconote?». No, lo sportello dove Milko Pennisi aveva appena cambiato un pezzo da 500 euro, pagandone 72 per tre libri di Eva Cantarella, Massimo Introvigne e Dacia Maraini, è il secondo da destra. Ulrico Hoepli si fa accompagnare al piano "meno 1" della sua libreria. Vuole vederli, i libri. Toccarli («No, dottore, L' ultimo simbolo era qui ma è esaurito, mi sa che era l' ultima copia quella lì». «Bene, vuol dire che in cella quel signore avrà qualcosa da leggere»). Ripercorrere la scena dell' arresto a sensazione, una sequenza da cinema andata in onda in mezzo ai clienti alle 16.15 di giovedì. «C' era folla - racconta l' editore-libraio - ma non come al sabato. Sono arrivati in dieci, poliziotti e finanzieri, sono entrati discretamente e discretamente hanno condotto tutto. L' arresto, il controllo della banconota con cui il signor Pennisi aveva pagato i libri, per verificarne il numero di serie. Sarà durato in tutto venti minuti. E nessuno si è accorto di nulla, a parte la cassiera francese che ha avuto un mezzo infarto quando le hanno detto: polizia. Tutto con grande rispetto, siamo rimasti perfino ammirati». Il nome di Milko Pennisi, fino a metà pomeriggio di giovedì, era del tutto sconosciuto al proprietario della grande libreria alle spalle di piazzetta San Fedele, ma anche a direttori, vice, commessi. Non era un cliente abituale, insomma, quel signore che era andato direttamente al piano interrato, quello dei libri di storia, a prelevare un volume sulla massoneria, uno di storia antica e uno di storia moderna, e poi pizzicato alla cassa. «Che fosse una persona importante l' abbiamo capito alla sera - prosegue Hoepli - dal telegiornale. E poi dai giornali del giorno dopo, li abbiamo sfogliati tutti. Ho letto che il signor Pennisi è laureato in Giurisprudenza, come la Cantarella, una delle autrici che aveva scelto, chissà perché. Come Berlusconi. D' acchito non potevamo riconoscerlo: non è certo Marylin Monroe, o Bill Clinton per usare un paragone meno irriverente. Un po' più invecchiato di come lo abbiamo visto poi in foto». La scena va in dissolvenza poco dopo le 17.30 di giovedì. «Ci hanno fatto firmare i verbali - aggiunge Hoepli - ci hanno ringraziato chiedendoci di restare a disposizione e così abbiamo fatto». L' eco dell' arresto, quello, non si è ancora dissolto. Viaggia sui titoli dei giornali sfogliati alle casse, sui commenti agli sviluppi della vicenda e - con un pizzico di vanità, massì - sulle foto della grande insegna Hoepli a corredo degli articoli. «Bisognerà capire, adesso - ragiona Hoepli - che effetto avrà in campagna elettorale. Come affronteranno il fatto le tv. Se è un fatto isolato o se c' è altro dietro. Lei che dice? Molto, molto interessante...».
da: Repubblica, 14 febbraio 2010, sezione MILANO, p. 2

* * *

I soldi nascosti nel bagno della libreria Hoepli
Le tangenti a Pennisi: altri imprenditori in procura
L'interrogatorio. Lui si è difeso davanti al giudice: è stato Basso a offrirmi denaro. Oggi la decisione sull'arresto

di Marsiglia Biagio
MILANO - Gli gira proprio male, a Milko Pennisi. Nel giorno in cui, davanti al gip Simone Luerti il dimissionario presidente della Commissione urbanistica del Comune di Milano ha tentato di dire che lui non ha concusso proprio nessuno ma che ha «solo ceduto all'offerta di un imprenditore», in Procura a Milano hanno bussato altri colleghi dell'immobiliarista Mario Basso. E anche loro, si intuisce, come Basso sarebbero rimasti vittima del «sistema Pennisi». Si tratta di primi «timidi contatti», si dice a Palazzo di giustizia, ma è oramai un dato di fatto che l'invito dei magistrati a farsi avanti è stato raccolto e ha sortito i primi concreti effetti. Altro lavoro, dunque, per finanza e polizia. E altri guai per Pennisi. Che davanti al giudice, ieri mattina, s'è presentato coi capelli arruffati, tono dimesso, la voce affranta. Assistito dall'avvocato Antonio Bana, l'esponente del Pdl s'è piantato le mani nei capelli e ha confessato la tangente. Ma ha subito aggiunto di non avere fatto alcuna richiesta e di non avere obbligato nessuno a pagare. Anzi, ha puntato il dito contro chi l'ha fatto arrestare, Mario Basso, sostenendo che sarebbe stato proprio l'imprenditore bresciano ad avergli offerto i soldi. Non un concussore, quindi, punito con una pena da quattro a dodici anni, ma un corrotto, punibile con una pena minore, da due anni a un massimo di sei. Chiara la strada imboccata da Pennisi, che non ha certo sorpreso il legale di Mario Basso, l'avvocatessa Daniela Covini. «Non mi stupisco delle dichiarazioni rese da Pennisi in sede di interrogatorio e riferite dal suo avvocato. È una scelta difensiva in tema di concussione, aggiungerei la più praticata anche ai tempi di mani pulite. Non ritengo di dire altro - ha precisato il legale - considerata anche la modalità dell'arresto, il comportamento e la denuncia del mio assistito». In effetti si fa fatica a comprendere perché mai Basso, la cui pratica era stata già approvata e che ha filmato lo scambio della prima tranche della tangente, avrebbe dovuto ungere il presidente di una commissione che non ha parere vincolante anche se fosse negativo. Giochi delle parti. A dire il vero ieri, quando nelle stanze di San Vittore è stato portato davanti al giudice Luerti, Milko Pennisi era ancora convinto che gli investigatori non avessero trovato le 10 banconote da 500 euro l'una, segnate e fotocopiate in procura prima del suo arresto. Era ancora convinto che finanzieri e poliziotti si fossero inutilmente persi dentro la libreria Hoepli dove lui si è precipitato subito dopo avere intascato il pacchetto di sigarette con sorpresa. «Io di soldi non ne ho presi, addosso non mi hanno trovato niente...». Ci ha provato ancora, Pennisi. Poi il giudice ha perso la pazienza e lo ha inchiodato leggendogli il freschissimo rapporto della guardia di finanza che racconta, come in un romanzo, la ricerca della mazzetta passata da Basso all'arrestato e apparentemente sparita tra le migliaia di libri del negozio. In realtà Pennisi non ha tentato alcuna fuga, al momento dell'arresto. È corso all'interno della libreria per verificare che i soldi fossero buoni e nascondere la tangente. Dove? Nel bagno del piano sotterraneo della libreria Hoepli, dietro il termosifone. Niente male, per uno alla sua «prima volta». Pennisi è stato arrestato giovedì scorso, ma i soldi sono stati ritrovati di venerdì, dopo ore e ore di faticose ricerche. I finanzieri e i poliziotti hanno dovuto rovistare tra migliaia di libri, ogni copertina poteva essere un buon nascondiglio. Ma alla fine, di scaffale in scaffale, gli investigatori sono finiti in bagno, un posto quasi introvabile. Segno che Pennisi, che ha agito molto in fretta, sapeva bene dove mettere mani e piedi. Dietro il termosifone c'erano nove banconote, la decima era stata spesa per acquistare libri. Ottanta euro di libri. Per questo nel portafoglio il colonnello della finanza gli ha ritrovato i 420 euro di resto oltre ad altri soldi che Pennisi aveva prima di arraffare la mazzetta. Facile, a quel punto, rintracciare la decima banconota segnata nella cassa della Hoepli. Anche quella è stata sequestrata, e la cassiera, stupita, ha riconosciuto in Milko Pennisi il cliente che l'aveva appena spesa. «Aveva una gran fretta...». Ha detto la ragazza. E si capisce bene il perché.
da: Corriere della Sera, 15 febbraio 2010, sezione Milano, p. 9

domenica 7 febbraio 2010

Romano Montroni
Libraio per caso
Marsilio 2009

La lettura si interrompe improvvisamente a pagina 221, quando ho da poco superato la metà del libro. Scopro con stupore, ma anche con un certo sollievo, che le pagine rimanenti sono dedicate alla trascrizione di una sorta di rassegna stampa il cui protagonista è ovviamente Montroni.
Niente di strano: il libro è una lunga autocelebrazione della carriera di uno che ha iniziato sì a fare il libraio per caso (come tutti, del resto) ma che, pur essendo diventato uno dei più importanti personaggi del panorama librario italiano, al di là di qualche aneddoto, racconta veramente poco di interessante.
Certo, le persone citate sono molte, alcune famose altre sconosciute, ma su di loro alla fine del racconto non sappiamo nulla più di quanto sapessimo all'inizio. L'impressione è che tutti questi nomi servano solo per confermare nel lettore l'idea che Montroni abbia raggiunto il suo scopo, ovvero sedere alla stessa tavola degli "intellettuali" pur essendo partito da zero. Sarà vero? E soprattutto: è a questo che deve puntare un bravo libraio?
Montroni è sicuramente un personaggio di primo piano nel mondo delle librerie, tutti lo conoscono (a parte me, prima di leggere il libro), anche l'ultimo arrivato ha letto il suo "Vendere l'anima", ma la sua autobiografia poteva essere più sobria; in fin dei conti non è che la storia della sua carriera ed il suo pubblico di lettori sarà in larga parte composto da colleghi.
Tra le righe si intuisce che l'immagine di sé che Montroni cerca di definire non è priva di ombre. La stima che i suoi collaboratori hanno nei suoi confronti è la stessa che posso avere io per il mio capo: rimane comunque il mio capo, anche quando fa e dice cose che non mi trovano d'accordo. Montroni considera una vittoria l'essere stato il primo a tenere aperto il negozio di domenica: per uno di sinistra è proprio un bel risultato ma non credo che i suoi dipendenti siano stati così orgogliosi di questo primato.
Montroni, a capo della catena delle Feltrinelli, non affronta, se non di passaggio, il problema del rapporto con le piccole librerie indipendenti. Mi sembra troppo riduttivo liquidare la questione con un semplice dualismo tra dinamici ed immobili, innovativi e antiquati. Se le librerie chiudono la responsabilità è anche delle grandi catene: non è vero che queste intercettano nuovi lettori, piuttosto esse hanno possibilità economiche non paragonabili a quelle dei loro concorrenti, e questo è tutto. Se non devi preoccuparti di come paghi le fatture alla fine del mese allora ti puoi permettere di organizzare presentazioni, fare iniziative, essere presente nella vita culturale della tua città e di conseguenza puoi allargare la tua clientela, magari stando al passo con gli sconti della grande distribuzione (il 15% di sconto sui libri significa lavorare quasi gratis, soprattutto se ti sei affidato a Fastbook che di base ti fa un 27% netto).
Insomma, Montroni è un dirigente e ce la racconta da dirigente. E' per questo forse che alla fine l'aspetto più interessante del libro rimane la storia della Feltrinelli di Bologna e della figura di Giangiacomo che emerge come un personaggio chiave della cultura italiana.

mercoledì 27 gennaio 2010

Enrico De Alessandri
Comunione e Liberazione: assalto al potere in Lombardia
Bepress 2010

Se è vero che di libri critici su Cielle non se ne vedono in giro molti, è anche vero che non sarà questo pamphlet a colmare la lacuna. L'autore insinua che vi sia una sorta di accordo tra le grandi case editrici (tutte in mano a Cielle, a suo dire) per bloccare le voci di dissenso; forse, più semplicemente, le grandi case editrici non vogliono giocarsi la reputazione con libri senza capo né coda come questo.
I ciellini stanno sulle scatole un po' a tutti, soprattutto a quelli di Azione Cattolica e alla maggior parte dei preti. Alla base di questo sentire comune c'è senz'altro un elemento di "diversità" che li caratterizza e che si manifesta in atteggiamenti di forte coesione e, diciamolo pure, di aiuto reciproco quando serve. Atteggiamenti che, a ben vedere, sono comuni a tutti i gruppi e che hanno in Cielle soltanto l'esempio meglio funzionante.
Detto questo, anch'io non sopporto i ciellini.
Eppure non posso fare a meno di notare come fin dalle prime righe di questo saggio si dia fondo al peggior repertorio di stratagemmi per mascherare, dietro un apparente rigore nell'argomentazione, una quasi totale incomprensione del fenomeno che si vuole analizzare. Succede sempre così quando si ragiona per partito preso.
La cosa più pericolosa che può fare un polemista è cercare di interpretare le affermazioni del campo avverso in modo che servano da sostegno alle sue tesi. Giusto nelle prime pagine l'autore tenta di dimostrare come Comunione e Liberazione sia una setta fondamentalista e totalitaria e cita a questo proposito un testo ciellino del 1975: «Vogliamo rimanere dentro questa chiesa, perché essa sia vera per tutti; al limite, fino a scomparire dentro di essa, fino a far coincide­re i confini del nostro Movimento con i confini della chiesa stessa». Come interpretare questa affermazione? Penso sia chiaro che Cielle, ponendosi come movimento di rinnovamento della chiesa, al pari di altri, considererà assolto il proprio compito una volta che il rinnovamento sarà compiuto e tenderà a fondersi in questa chiesa rinnovata. Naturalmente questa interpretazione presuppone almeno una minima conoscenza dei movimenti religiosi, conoscenza che l'autore non sembra avere. La sua conclusione è questa: «CL ambisce, per sua stessa ammissione, a diventare l’intera Chiesa. Nella sua totalità e "fino a scomparire dentro di essa". Mai sentito nessun altro movimento ecclesiale avanzare simili pretese con tan­ta chiarezza e determinazione». Simili forzature si ripetono ovunque lungo le pagine di questo libro.
«Il carattere settario di CL è ampiamente conferma­to da una vasta, dettagliata e soprattutto "indipen­dente" produzione scientifica svolta da autorevoli professori universitari ordinari». Gli autorevoli professori (stendiamo un velo pietoso sulla qualifica di "ordinari") sono tre, Enzo Pace, Marco Marzano e Salvatore Abbruzzese. Nonostante le ricerche in internet non sono stato in grado di trovare notizie riguardanti Franco Ottaviano (forse identificabile con il parlamentare comunista) né tanto meno Dario Zadra, il cui articolo è però ora presente su Google Books. Marco Damilano è un giornalista; gli altri nomi citati in bibliografia non si sono occupati direttamente di Comunione e Liberazione e sono stati citati, a mio modo di vedere, senza alcuna necessità. Ora mi domando: bastano alcuni titoli di tre professori universitari (Padova, Bergamo e Trento, per altro) a fare una «vasta» e «dettagliata» produzione scientifica?
Il libro non porta una sola argomentazione, non dimostra niente. Il copia e incolla di alcune affermazioni, avvolte da quest'aura di "ipse dixit" del tutto fuori luogo, viene usato per ricavare sillogismi forzati che subito diventano verità indiscusse: «Secondo il giudizio di autorevoli professori univer­sitari...».
La scelta dei termini, poi, non è certo delle più felici. Definire «collaborazionisti» i personaggi citati nel libro e rei di aver in qualche modo favorito Cielle può sembrare solo folklore; dire che una persona è «ciellina» o «vicina a cielle» senza portare lo straccio di una prova che non sia l'autorevolezza degli articoli de "La Padania" è un modo scorretto persino di fare polemica.
Ma arriviamo al nocciolo della questione. L'autore ha il dente avvelenato contro Formigoni, più che contro Cielle, per motivi personali che emergono facilmente dalla lettura della biografia dell'autore. La sospensione dal lavoro di cui si è parlato sui giornali non è che l'ultimo capitolo di una vicenda che ha origine dalla decisione di Formigoni di sopprimere un certo ente del quale l'autore era dirigente...

domenica 24 gennaio 2010

Lettura veloce

Il ragazzo avrà quindici anni, tratti somatici asiatici ma parlata tremendamente televisiva con accento milanese. Si esprime a fatica, sembra imbarazzato e invece è solo linguisticamente deprivato.
- Avreste quei libri che se li leggi impari a studiare velocemente?
Lo accompagno davanti allo scaffale.
- Lettura veloce, mappe mentali... è tutto qui.
Solita domanda:
- Qual'è il migliore?
Solita risposta:
- Cosa ti serve?
- Ho visto alla tele che ci sono dei libri che insegnano come imparare velocemente quello che c'è in un libro. Facevano vedere che uno faceva passare le pagine velocemente e alla fine sapeva tutto quello che c'era scritto.
- E tu ci credi? Guarda che questi libri non fanno i miracoli! Per studiare ci vuole tempo. Questi libri li comprano i manager delle aziende che devono imparare le cose velocemente ed altrettanto velocemente devono dimenticarsele.
- Ma io voglio avere una vita sociale!
- Beh, questi sono i libri, dà loro un'occhiata e... vedi tu.
- Ma secondo lei per studiare qual'è meglio? Quello sulle mappe mentali o sulla lettura veloce?
- Dipende: studiare cosa?
- Matematica.
Guardo una cliente che ha assistito alla scena. Non sono solo, qualcuno mi capisce. La cliente ci prova:
- Devi solo fare tanti esercizi...
Ma il problema è proprio questo: imparare alla svelta, non perdere tempo, non fare fatica. Guardo il ragazzo.
- Per studiare matematica l'ultima cosa che ti serve sono questi libri.
Vorrei aggiungere altro, ma mi trattengo.

giovedì 21 gennaio 2010

Dice: vabbè, sono matricole... e invece no!
- Avrei bisogno di sapere quali libri avete fra quelli di questa lista...
Già qui c'è qualcosa che non va perché se il criterio con cui scegli i libri è il fatto che li abbiamo disponibili in negozio significa che il tuo è solo un problema di tempo e allora delle due l'una: o sei talmente in ritardo per l'esame che va bene tutto pur di poterti presentare almeno con un libro non fotocopiato da far vedere al professore, oppure consideri sufficiente lo sbattimento di esserti allontanato per più di cinquanta metri dall'Università per comprare i libri dell'esame che hai fra quindici giorni.
Poi alzo gli occhi dal computer.
Di fronte a me ci sono un signore sulla sessantina, non molto alto, robusto e senza occhiali, la parlata sicura di uno che non si trova a disagio in mezzo a tutti questi libri, e una pelliccia con dentro una donna della stessa età ma truccata in modo da sembrare più vecchia, probabilmente la moglie.
Prendo la lista, guardo le date di pubblicazione dei libri.
- Sono tutti libri piuttosto vecchi.
- Eh, lo so, ma servono per la tesi...
- Chi dei due si deve laureare?
Al signore che ho di fronte si disegna un sorriso soddisfatto, forse pensa di aver ricevuto un complimento, come se gli avessi detto che dimostra la metà dei suoi anni. La moglie sorride dopo qualche istante, non ha capito niente ma si adegua.
- No, no, stia tranquillo, sono per mia figlia!
Così, senza un briciolo di vergogna.
Tu, genitore, vieni in libreria al posto di tua figlia a comprare i libri per la sua tesi ed invece di vergognarti come un ladro ridi e ti comporti come se fosse tutto normale. E poi mi domando: ma che razza di gente c'è adesso all'università? Come si fa a dare una laurea a... ma insomma, io giravo gli archivi della Lombardia per trovare un testamento che poi non è mai saltato fuori e non stiamo parlando degli anni Cinquanta, e questi nemmeno i libri si cercano da soli. E la cosa peggiore è che forse hai ragione, genitore, forse è diventato normale e noi vecchi librai non ce ne siamo resi conto. D'altra parte si vede, tu sei moderno e io sono uno del secolo scorso.

giovedì 14 gennaio 2010

Le vendite di Natale: un piccolo bilancio

Passate le festività, facciamo un piccolo bilancio. Il mio non sarà naturalmente un lavoro rigoroso: sono a casa mia, non ho il mecbuc sotto mano e vado a memoria. Quindi non farò la classifica dei più venduti, che serve solo a far vendere di più i soliti libri; mi limiterò a segnalare le cose che mi hanno impressionato di più.
Così a occhio la sorpresa delle sorprese è stato Vaticano S.p.A., dell'editore Chiarelettere, una delle tante inchieste sui rapporti tra Vaticano, banche finanze etc. Qualcosa di particolarmente interessante questo libro deve pur averlo avuto ma bisogna riconoscere che quando si critica la Chiesa si trova un facile successo. D'altra parte l'argomento religioso muove sempre una bella fetta di mercato se si pensa che persino il libro di Navarro-Vals A passo d'uomo è diventato un caso editoriale, e dire che lui non è certo uno conosciuto al grande pubblico. Probabilmente, a parte l'ospitata da Fazio, ha giocato molto il fatto di essere un giornalista, quindi di avere un punto di vista "laico" rispetto alle cose della fede. Oggi tutti vogliono essere "laici" e molti che si atteggiano a lettori colti preferiscono sfoggiare una copia di un libro di Navarro-Vals (pubblicato da Mondadori) piuttosto che un Ratzinger pubblicato da Queriniana.
A metà tra il gossip e il libro religioso è A un passo dal baratro di Paolo Brosio, famoso giornalista e conduttore, sparito da un po' di tempo dalla televisione e ricomparso in veste di scrittore convertito. La sua testimonianza ha fatto centro, un po' per la bella copertina del libro ma soprattutto, credo, per la sincerità del racconto.
Altro libro andato più volte esaurito è stato Le due guerre di Caselli, pubblicato da Nottetempo. Anche questo libro si inserisce in quello che ormai è un genere ben definito, il libro sulla criminalità ma nonostante l'argomento ed il sicuro richiamo del personaggio, per vedere il libro decollare è stata necessaria la marchetta da Fazio.
Una delusione, in termini di vendite, è stato il libro di Martini Qualcosa di così personale. Prevedibile che l'argomento, la preghiera, non avesse quella presa che poteva avere il libro precedente ma mi sarei aspettato di più. Sempre tra i religiosi non pervenuti i libri di Enzo Bianchi e quelli su Madre Teresa.
Di Vespa non ho sentito parlare (in libreria, naturalmente), segno che ne avevamo copie in abbondanza e che certo non è stato uno dei migliori.
Grossa delusione per Eco ed il suo ambizioso La vertigine della lista, partito male ed affossato definitivamente dalla terribile ospitata da Fazio del suo autore: una simile esibizione di arroganza intellettuale mi ha fatto ricredere sul suo conto. Già che siamo in tema di intellettuali parliamo anche di Galimberti. Lui, se non sbaglio, da Fazio non ci è andato. Troppo popolare, meglio Augias o la tribuna di Santoro che lo definisce «uno degli uomini più intelligenti di questo Paese». Ho ascoltato i suoi interventi televisivi e li ho trovati superficiali al limite del qualunquismo; d'altra parte io mi guardo bene dal giudicare le idee di uno degli uomini più intelligenti di questo Paese. Certo che se il suo libro I miti del nostro tempo è dello stesso tenore del suo intervento, se uno come lui viene considerato un intellettuale, si salvi chi può.
Che dire dei libri per ragazzi? Quest'anno non ci sono state grandi uscite, a parte il solito Geronimo Stilton. Il cofanetto di Harry Potter credo non sia andato male ma era costoso e graficamente molto diverso dagli "originali". Alla fine la sorpresa, almeno per me, è stato Il piccolo principe in versione Pop-Up anche se difficilmente collocabile come target.