giovedì 20 settembre 2012

Libri per il concorso: occhio alle fregature!

Solo per avvisare gli acquirenti che alcune case editrici hanno semplicemente ricopertinato i libri che avevano già pubblicato precedentemente. Mi riferisco in particolare ai test di logica e comprensione linguistica che in alcuni casi sono identici a quelli usciti per l'ammissione all'università. Quanto ai testi di informatica non ho verificato ma immagino siano stati usati i vecchi manuali che giacevano nei magazzini.
Nonostante questo ci sono ancora persone che vengono a chiedere il libro del tale editore perché "è il migliore", perché "c'è la pubblicità sul quel sito", perché "prendono tutti questo, no?"
Non è difficile scoprire la fregatura: basta confrontare autori e numero di pagine per accorgersi che si tratta degli stessi libri con una copertina diversa. Se poi volete fare lo sforzo di andare in una libreria ne avrete la conferma. Prima però telefonate per sapere se la libreria ha i libri che cercate: non sia mai che fate una strada a vuoto. O meglio: mandate qualcuno che non sa cosa deve cercare dandogli solo poche vaghe indicazioni. Poi ci pensiamo noi a tirargli il pacco.
Certo che le associazioni dei consumatori sono sempre sul pezzo, eh?

venerdì 7 settembre 2012

I migliori libri per il concorso a cattedre

Finalmente ci siamo, ecco la grande occasione che tutti i librai aspettavano! Stanno iniziando a venire in negozio i primi sciagurati del concorsone, quelli che faranno impennare le visite di questo blog allettati dal titolo del post che, si badi bene, non è per niente fuorviante. Infatti in questo post si parla proprio di questo: dei libri migliori per prepararsi al test preliminare per il concorsone. Niente di più, niente di meno.
Eh sì, cari candidati, parlo proprio con voi che, si spera, risolleverete con le vostre carte di credito le sorti di questo settore (l'editoria, intendo) che da troppo tempo non ne indovina una.
Ma state tranquilli, stavolta i ragazzi hanno fatto le cose in grande. Per un solo concorso la Maggioli ha preparato quattro libri, la Edises cinque e la Simone, che appena ha sentito la parola "concorso" (a gennaio) è uscita con un libro demenziale, adesso propone altri cinque titoli in aggiunta.
Partiamo da una considerazione: questi libri costano cifre assurde, spropositate. Mi prendo la briga di proporre un confronto fra tre libri simili per argomento e livello di inutilità, quelli sulle competenze informatiche: cos'è un computer, come si accende, cosa sono le icone... Dunque, vediamo.
Maggioli (336 pp.):17,00 euro
Edises (300 pp.):22,00 euro
Simone (336 pp.):22,00 euro
Be', direte voi, non c'è poi questa grande differenza... Certo che non c'è, se per voi cinque euro non fanno la differenza. Ma date un po' un'occhiata a questi altri titoli:
Cinquanta sfumature di grigio (548 pp.):14,90 euro
Il profumo delle foglie di limone (364 pp.):18,60 euro
Gomorra (373 pp.):12,00 euro
Capite dove voglio arrivare? Il prezzo dei libri per i concorsi è sicuramente gonfiato in considerazione del fatto che comunque la gente li compra, a qualunque prezzo. E non venite a dirmi che tutto dipende dalle tirature: questi libri vanno regolarmente in ristampa dopo quindici giorni e la percentuale dei resi è insignificante rispetto al venduto.
Ma siccome il rischio è che stavolta ogni candidato si accontenti di un solo libro, gli editori hanno pensato bene di scorporare le singole "materie d'esame" e di fare un libro separato per ognuna, per poi proporre, c'è da scommetterci, pacchetti promozionali tipo paghi tre prendi quattro.
Non entro nel merito dei contenuti ma non credo di sbagliare se dico che uno vale l'altro.
A questa strategia, già abbastanza immorale per come la vedo io, si aggiunge l'atteggiamento puerile dei candidati che farebbero qualunque cosa pur di passare il test, sorvolando sul fatto che se non si hanno, già adesso, le conoscenze minime per passare un test preselettivo, allora forse è giusto che il test non si passi. Voglio dire: se arrivi a trent'anni e non sai fare un ragionamento logico, come pretendi di impararlo facendo quattro quiz? E se anche lo passi perché qualcuno ti ha suggerito le risposte (capita), sei sicuro di essere adatto a fare l'insegnante? Perché, te lo ricordi? l'insegnante è quello che ti dice di non copiare...
Ma torniamo a noi. Fra un po' cominceranno a chiedere quali sono i libri ufficiali per il concorso. E so benissimo che l'espressione "libri ufficiali" farà aumentare ulteriormente le visite al blog. Ma non è questo il punto. Il punto è che i libri ufficiali non esistono. Cose come quella avvenuta per il concorso a dirigente, per cui le domande sono state dette prima, capitano una volta nella vita. Rassegnatevi.
Infine, la domanda fatidica: qual'è il migliore? Il migliore è quello che costa di più perché se costa di più vuol dire che è il migliore. E se vuoi rischiare e comprare quello che costa meno, affari tuoi. Oppure puoi fare come fanno gli altri: li prendi tutti.
Buon concorso.

sabato 18 agosto 2012

Sono un po' svogliato. Non è che non abbia tempo, è proprio che non ho voglia di stare davanti al computer. Ci passo la vita, davanti al computer, e quando arrivo a casa l'ultima cosa che desidero è accendere tutto l'ambaradan. E poi, a dirla tutta, non è che ci sia molto da raccontare.
I discorsi in libreria ormai sono sempre quelli, crisi, rese, budget... sempre quelli da mesi, in attesa che succeda qualcosa. I clienti sono una specie in via di estinzione, anche questo è un dato che non fa notizia, e quelli rimasti sono i peggiori. Quelli che non si fidano ad usare la carta di credito per comprare su Amazon però vogliono che tu gli faccia lo sconto che c'è su Amazon. Quelli che devono partire per le vacanze. Quelli che «Com'è possibile che nel Duemila ci vogliano due settimane per avere un libro» e quelli che «Io dirigo un'azienda e se il fornitore non funziona, cambio fornitore»... Ecco i clienti che sono rimasti. Bei clienti.
C'è qui un bel post di un collega che sintetizza bene la situazione (anche i commenti sono azzeccati). Cosa aggiungere? Forse che la persona che dovrebbe firmare il mio prossimo contratto in questa libreria mi ha detto: «Se trova un altro posto non ci pensi due volte».
Perché se avevo un altro posto, secondo te ero ancora qui?

sabato 21 luglio 2012

L'editore dei sogni

Tempo fa ho letto un libro che parlava della Milano della prima metà del Novecento. In questo libro veniva trascritto un brano di Orio Vergani che descriveva, attraverso il ritratto dell'editore ideale, le illusioni di un giovane scrittore. Dato che oggi il mondo editoriale sta cambiando rapidamente e qualcuno ipotizza la prossima estinzione degli editori a vantaggio del self-publishing, ho pensato di riportare questa divertente testimonianza. Facciamo un salto indietro nel tempo.
Quando Carlo Bruffara ha scritto un numero di pagine che, ad occhio e croce, possono bastare per riempire un volume, è naturale che cerchi un editore. L'autore, per essere un vero autore, dev'essere stampato. Non avrete mai sentito parlare infatti di un «autore di pregevoli manoscritti».
Chi stampa i libri? Il tipografo. E chi invita il tipografo a stampare e lo paga? L'editore. Esistono anche degli «editori tipografi» e delle «librerie editrici». Ma quelli e queste stampano sì, ma a pagamento. Il giovine letterato cerca invece, di solito, l'editore che paghi lui oltre che le spese di stampa.
L'editore è subito trovato. Si apre la guida Savallo. Ecco qua. Basta scorrerla con l'occhio: Tal... Tonc... Tr... Ecco! Treves, via Palermo 12.
L'editore è subito trovato. Si annota l'indirizzo sul taccuino, si prende il tram, si arriva dinanzi allo stabile dove ha la sua sede la Casa Editrice.
«Scusi, c'è il commendatore...? (i puntini rappresentano il nome dell'editore).»
«No, il commendatore non c'è.»
Come vedete l'editore è subito trovato.
Del resto meglio che non ci sia. Pensateci bene.
Essere subito fatti passare in uno studio elegante e severo (tutti gli studi sono eleganti e severi) e trovarsi di fronte l'editore, seduto dietro una scrivania in una poltrona americana, l'aria pacifica e una bacchettina che fa girar tra le dita.
«Buon giorno!» «Buon giorno. Si accomodi. Dica!»
«Buon giorno. Si accomodi. Dica!» Io ho sempre pensato con raccapriccio cosa domani risponderei ad un editore il quale mi dicesse: «Buon giorno. Si accomodi. Dica!»
Perché bisogna prima di tutto stabilire da quale punto di vista si deve considerare l’editore. È un uomo d’affari o un mecenate? Se è un uomo d’affari il colloquio comincerebbe pressappoco in questo modo:
«Ecco. Sono venuto a proporle un affare.»
«Dica.»
«Vuol pubblicare un mio libro?»
«Un libro? Suo? »
«Si, mio.»
Silenzio assoluto. Silenzio assoluto ancora.
Immaginate che a questo punto l’editore vi chieda:
«E, scusi, perché crede lei che per me sarebbe un affare pubblicare il suo libro?»
Cosa rispondere? Perché è un «bel libro»? perché è «interessante»? perché «se ne sente la necessità»? perché «colmerà una lacuna»?
No. Io, per conto mio, do perfettamente ragione all’editore. Come uomo d’affari egli dovrebbe scartare dalle sue attività tutte quelle che concernono l’industria libraria. Non fare l’editore. Dunque, nel caso del giovane autore egli è un mecenate, un mecenate avveduto. Stampare il primo libro di uno scrittore è un rischio terribile.
Perché tutto è qui. Gli editori diffidano terribilmente, e non hanno torto, del primo libro di uno scrittore. Vorrebbero sempre che il primo lo stampasse un altro: quel famoso altro irreperibile. In questo caso, per l’autore e per l’editore, non ci sarebbe che una soluzione. Cominciare dal secondo libro, così come sarebbe conveniente, per evitare i rischi della prima rappresentazione, cominciare a recitare le commedie dalla prima replica.
Supponiamo dunque che l’editore sia un mecenate.
Eccoci davanti a lui. Studio elegante e severo, qua e là, in preziose bacheche, gli autografi più importanti delle opere pubblicate dalla casa. Alle pareti i ritratti degli scrittori beneficati. In un angolo una cassaforte aperta, piena di biglietti da mille. Un bassorilievo con le nove Muse. Una statua di Apollo. Su una sedia, alcune corone di lauro, pronte, per i poeti che vengono a far visita.
«Buon giorno.»
«Buon giorno caro signore.»
Così dovrebbe parlare l’editore mecenate. «Lei ha scritto un libro. Come faccio a saperlo? Ma se glielo si legge in faccia, simpaticone! Dunque: un libro, un bel libro. Bravo! Qua il manoscritto (consegna del manoscritto). Olà, bello! Come si intitola? Ah... ottimo, ottimo! Quello che ci vuole per me, per lei, per il pubblico, per la letteratura italiana. Che bella calligrafia. Dunque, senta! Anzi, se permette, ci possiamo dare del tu. Permetti?»
«Figurati.»
«Grazie, caro! Dicevamo dunque... tremila? Sì, cinquemila copie. Ti pare che bastino? In caso teniamo la composizione, per una immediata ristampa.»
«Credi necessario?»
«Se lo credo? Come alla luce dei miei occhi. Mando subito l’originale in tipografia. I versi! I versi sono la mia passione. Non ti dico poi il mio debole per i settenari. Ah, un momento. Quanto vuoi?»
«Oh! Fai tu!»
«Senti, cinquemila copie a quattro lire fanno ventimila lire. Prezzo di vendita otto lire. Ai librai sei. Cinquemila copie vendute a sei lire fanno trentamila lire: meno le ventimila di spese, restano diecimila di guadagno. Eccoti diecimila lire. No, non far complimenti.»
«Grazie. Ma... E per te?»
«T’immagini! A cosa pensi! Ma è per l’Arte! l’Arte! Del resto, ecco, per il disturbo mi pagherai il caffè! Sei contento?»
Si manda a prendere il caffè. In attesa si chiama il direttore della tipografia.
«Guardi qui, Marinoni. Ecco del lavoro per lei. A proposito, permettete che vi presenti. Il poeta... una delle nuove colonne della nostra casa, il signor Marinoni. Dicevamo dunque: ecco qui il manoscritto. Carta a mano, caratteri nuovi, copertina di lusso. Cinquemila copie. Siamo intesi? E, mi raccomando, eh! rapidità, rapidità!»
«Non dubiti.»
«Quando posso passare per correggere le bozze?»
«Passare? Ma te le manderemo a casa! Non ti preoccupare.»
Intanto arriva il caffè. Lo si sorbisce lentamente parlando di arte e di celebrità. Siccome è inteso che il caffè lo paga l’autore, questi si rivolge al commesso che lo ha portato e gli porge un biglietto da mille.
«Cosa fai? Ma sei impazzito. Non hai moneta?»
«No, caro.»
«E allora lascia fare. Cambiar mille lire per due caffè! Pago io! Pago io anche il caffè! E adesso, caro, senza complimenti. Tra amici, sai, non si fanno. Ho da lavorare. Torna quando vuoi. Non farti nemmeno annunciare. Ciao, caro!»
Il giovine autore è in strada, tenendo ben stretto il braccio contro il portafoglio. Sente, improvvisa, una finestra schiudersi. È l’editore, che si sbraccia e lo chiama.
«Scusa, sai! Ma mi ero dimenticato una cosa.»
«Di’.»
«Portami una tua fotografia! Ci tengo tanto! Mi raccomando! Arrivederci! e...» qui c’è un sorriso di modestia... «scusa, sai, ma la voglio con una bella dedica!»
Questo l'editore dei sogni di Carlo Bruffara. Peccato che non ci sia il suo nome nella guida Savallo.

lunedì 16 luglio 2012

Ennio Montesi
Il Vaticano ha invaso l'Italia
Termidoro 2012

Sai quando arrivi a un certo punto che dici: no, adesso basta, adesso è troppo, adesso faccio un atto di disobbedienza civile e mi rifiuto di schedare questa roba. Ecco, quando ho avuto fra le mani questo libro ero in un momento no, ce le avevo girate per gli affari miei, e come se non bastasse...
Quando ho letto il titolo mi sono fermato incuriosito; ho letto il sottotitolo e non volevo crederci; ho aperto la prima pagina e sono esploso.
Questo ha veramente chiesto l'intervento della Nato per liberare l'Italia dal Vaticano! E ha pure il coraggio di lamentarsi perché nessuno gli voleva pubblicare sta roba! E la cosa peggiore, la più sconfortante, lo dico da collega di librai, è che alla fine pure a lui gli hanno pubblicato tutto. E per questo bel gesto compiuto da Termidoro (editore che non ha un sito, altrimenti avrebbe già ricevuto i miei ringraziamenti) io ho dovuto perdere il mio tempo a schedargli il libro.
Certo, anche in questo caso non manca il lato comico della situazione. Vedere come un autore riesca a raccontare una serie di sacrosanti rifiuti editoriali come se fossero il risultato di un complotto fa quasi tenerezza. Sentite cosa scrive all'inizio del libro.
L'avventura di qusto libro è stata una omerica odissea editoriale. Durante la presentazione del manoscritto è stato facile capire che buona parte dell'editoria italiana è sensibilmente sottomessa e prona verso i seguaci della setta fondamentalista della Chiesa cattolica e il sentimento che trapela è spesso di forte reverenza e di accentuato timore verso tale organizzazione. Ho notato che i direttori editoriali di alcune case editrici, anche di notevoli dimensioni, di rilevante peso culturale, arrivano perfino ad avere paura dei gerarchi dello Stato del Vaticano per chissà quali misteriose possibili ripercussioni. Alcuni manager editoriali e bravi editor mi dissero esplicitamente con onestà e con un pizzico di vergogna che, se avessero pubblicato il libro, sarebbero stati cacciati via, oppure sarebbero stati indotti a licenziarsi. Durante varie colazioni di lavoro, altri direttori di case editrici commentarono che sarebbero stati felici di pubblicare il libro, ma che, con rammarico, non potevano poiché in Italia il Vaticano comanda su tutto e su tutti e in qualche modo anche su di loro seppure in maniera indiretta.
Tutti sembravano concordare che l'editore ideale per la pubblicazione di questo libro dovesse essere un editore non italiano come ad esempio i publishers Penguin Books di Londra e Random House di New York. Secondo gli editori italiani, una volta pubblicato il libro in lingua inglese, sarebbe stato facile pubblicarlo poi in Italia acquisendo i diritti dal publisher estero. Insomma, una specie di salvacondotto editoriale del tipo, pubblichiamo il libro in Italia poiché è già stato pubblicato all'estero e quindi non abbiamo colpa avendo rispettato il non scritto, ma presente "Imprimatur vaticano". In questa complessa operazione editoriale internazionale da capogiro doveva entrare in campo anche Andrew Wylie, numero uno della The Wylie Agency, tra i più accreditati e potenti agenti letterari del mondo il quale sarebbe dovuto diventare il mio agente di riferimento.

A parte il finale da delirio di onnipotenza, da un certo punto di vista io lo trovo esilarante. Gli editori italiani lo hanno liquidato con una scusa e lui cosa si inventa? Il Vaticano controlla tutto! Poi ne trova uno più furbo che se lo leva dai piedi dicendogli: guarda, questo libro te lo pubblicano solo all'estero, vai a rompere le balle a loro se sei capace, e lui si mette in testa di andare da Penguin, Random House, Wylie.
E poi, alla fine, lo pubblica con Termidoro. Sì, è una situazione tragica per l'editoria e comica per il libraio. Tragicomica, direi.

domenica 1 luglio 2012

Brevissimo aggiornamento

Brevissimo aggiornamento a quanto detto qui.
Enzo Traverso, Il secolo armato, Feltrinelli 2012

Enzo Traverso, "Il secolo armato", Feltrinelli 2012

giovedì 7 giugno 2012

Tira veramente una brutta aria. Ogni mese i dati di vendita diventano sempre più sconfortanti, continuiamo a fare rese e fra un po' dovremo fare i conti anche con i tetti di spesa, il che significa che renderemo per cento e compreremo per cinquanta. E gli editori come risponderanno? Secondo il capo l'unica risposta da dare sarebbe aumentare i margini di sconto per consentire alle librerie di sopravvivere senza ridurre gli acquisti. Quello che si vede invece sono campagne di sconti forsennate con promesse di sovrasconti sul venduto che sono, appunto, solo promesse perché se la gente non compra tu non vedi né sconti né sovrasconti.
Sui giornali si leggono le opinioni dei guru dell'editoria, tutti abbastanza sconosciuti ma con curricula costellati di successi e tutti con un'analisi, una lamentela, una proposta. Almeno questi sono del settore, penso io, a differenza dei cosiddetti intellettuali che parlano di cose che non conoscono. Poi però mi accorgo che ognuno la vede a modo suo, ognuno propone una soluzione diversa da quella degli altri e allora mi convinco che qui nessuno ci sta capendo niente. Nemmeno noi librai, a dirla tutta.
Certo i più ignari sono i clienti, ormai assuefatti al tutto e subito di internet e incapaci di accettare che il mondo vero, quello in cui si svegliano alla mattina, è fatto di spazio e tempo, due dimensioni che, come diceva il mio vecchio manuale di biblioteconomia, il libro è in grado di attraversare. Ma quello che per il bibliotecario è un discorso metaforico, per il libraio diventa molto concreto: il libro deve viaggiare da un posto all'altro e ci mette, a volte, un sacco di tempo. Vallo a spiegare al cliente.
Vagli a spiegare che per assecondare il suo desiderio di passeggiare fra tavoli di libri sempre diversi e sempre interessanti ci vogliono un sacco, ma un sacco di soldi alle spalle e non bastano di sicuro i venti euro di uno scontrino a coprire le spese. Ma lo vedete o no, cari clienti, che le nuove librerie chiudono nel giro di tre anni? Solo nella mia città in cinque anni hanno aperto, e chiuso, tre librerie. E poi c'è la crisi, il commercio on-line, gli e-book, le giornate di pioggia...
Le librerie sono piene di libri e vuote di clienti. Su Repubblica di qualche settimana fa Olivier Nora, presidente di Grasset e Fayard, ha osservato che il mercato editoriale è l'unico che ha risposto ad una diminuzione della domanda con un aumento dell'offerta. C'ero arrivato anch'io, ma il fatto che a dirlo sia un editore...
E così si torna al punto di partenza, senza aver concluso niente, forse perché non c'è niente da concludere, non c'è un problema da risolvere ma solo una situazione che sta cambiando e noi che stiamo vivendo questo cambiamento possiamo solo raccontarlo, non modificarlo.

giovedì 12 aprile 2012

Due oggetti di design

Qualche giorno fa, mentre passeggiavo per le vie del centro durante la pausa pranzo, ho visto una cosa che mi ha lasciato a bocca aperta. Passando davanti ad un locale inaugurato da poco, un posto dove alcuni modelli servono insalate e succhi di frutta a quelli che escono dall'ufficio, ho notato un gruppetto di tre o quattro persone che erano sedute sotto i portici. Già il fatto che i loro costosissimi vestiti potessero strusciare contro il cemento ruvido delle panchine (rigorosamente senza schienale) bastava a farmi benedire il fatto che il mio mestiere si può fare tranquillamente in jeans (e ricordo ancora con nostalgia i tempi in cui mi presentavo al lavoro in bermuda...). Ma la cosa veramente incredibile era che le insalate e i tramezzini non erano appoggiati sul classico tavolino di metallo. Erano stati sovrapposti due scatoloni di cartone uniti, senza troppo riguardo, con del nastro adesivo, e sopra a questa base era stato steso un terzo scatolone, questa volta aperto, a fare da piano di appoggio, anche questo fissato col nastro adesivo. Un tavolino di cartone. Guardandomi attorno ho poi constatato che questi supporti facevano bella mostra di sè in varie zone del portico circostanti il locale. Naturalmente, una volta resomi conto che si trattava di un oggetto di design perfettamente in linea con lo stile fintamente popolare e minimalista del locale, ho ripreso la mia strada pensando a quanto dev'essere "cool" per certa gente far finta di essere normale.
E ho ripensato al tizio che avevo incontrato proprio quella stessa mattina, io un po' in anticipo e lui un po' in ritardo, che ancora non aveva cambiato zona e se ne stava raggomitolato sul suo letto di cartone, in un angolo di un portico vicino alla libreria.

domenica 25 marzo 2012

Presunto colpevole

Il paradosso è che ci facciamo fottere regolarmente tutti i cd allegati ai libri sui cantanti e poi di contro ci infiliamo in vicoli ciechi che terminano con un bicchiere pieno d'acqua: e lì iniziamo ad affogare.
Entra un tizio, nostro cliente abituale, uno che sa solo sistemarsi su qualche parte del tuo apparato riproduttivo e cominciare a saltare. È venuto a ritirare due libri ordinati: li prendo, li consegno, accenno un sorriso e appiccico un post-it su uno dei libri, alle casse sanno cosa fare. Saluto e dopo avermi rilasciato la solita inutile battuta anche lui se ne va.
Tempo dieci minuti e scende il buttafuori. Con la sua parlata lenta e terrificante perché sorretta da una perfetta padronanza della sintassi (unico segno evidente del fatto che sia uno straniero, a parte il colore della pelle) mi domanda se ricordo di aver dato due libri al tizio di prima. Sì, dico io, e intanto mi accorgo che sto iniziando ad arrossire. Arrosisco sempre quando mi accorgo di aver fatto o detto una cazzata. Non ho motivo di arrossire, non ho fatto nessun errore, non ho parlato, non ho fatto niente e mi ricordo perfettamente di aver dato due libri al nostro cliente. Potrei persino dirti i titoli. Ma un buttafuori nero che ti fa una domanda scandendo le parole e coniugando i verbi alla perfezione ti fa arrossire, credimi.
Mi dice che il tizio è uscito senza passare dalla cassa e teneva in mano il post-it. Dove ha messo i libri? Quando un buttafuori nero ti chiede dove hai messo i libri se non sei un idiota hai già capito come andrà a finire. Ma io non ho fatto niente, io gli ho solo dato i libri. Vaglielo a spiegare, al buttafuori, che è lui che deve controllare certe cose.
Mi chiama il direttore, vuole sapere cosa è successo. Il buttafuori lo ha informato dei suoi "sospetti". E io gli spiego. Si tratta di un nostro cliente abituale, uno di quelli che ordinano e poi non ritirano, poi si ricordano, poi il libro non c'è più, allora riordina e quando il libro arriva non si sa dov'è... prendono, lasciano, riportano, cambiano, fanno un po' quello che hanno voglia. Magari... si è dimenticato di pagare. Ho detto proprio così: magari si è dimenticato di pagare.
A me una volta è successo: sono entrato nel bar di uno che conoscevo con una ragazza, abbiamo bevuto qualcosa, sono uscito e dopo un po' mi sono reso conto di non aver pagato. Ero distratto.
Questo risvolto personale al direttore non l'ho raccontato e forse per questo lui ha trovato inverosimile la mia spiegazione. Secondo lui ci trovavamo di fronte ad un furto in piena regola perpetrato ai danni dell'azienda da uno che oltretutto, vengo a sapere, non è la prima volta che desta dei sospetti per il suo comportamento. Bisognava intervenire con fermezza. Intervenire con fermezza... nei confronti di chi? Del cliente? E le prove? No certo, impossibile che si riferisse al cliente. Stavo arrosendo.
Dovevo telefonare al cliente e chiedergli spiegazioni.
- Scusi?
- Lei ha il suo numero di telefono, no? Allora adesso lo chiama e gli chiede come mai i libri non risultano usciti dalla libreria.
- Ma così è come accusarlo di furto! E noi non abbiamo uno straccio di...
Stavo per dire «prova» quando mi ha interrotto: con una di quelle acrobazie linguistiche di cui solo gli incapaci sanno fare buon uso, il direttore mi spiega che non si tratta di accusare nessuno ma semplicemente di mostrare fermezza nei confronti di un atteggiamento che noi non possiamo tollerare; far vedere che siamo attenti, che certe cose non ci sfuggono e che certe situazioni non devono ripetersi...
- Ma questo è un tipo strano, magari c'è un'altra spiegazione...
Niente.
- E lo devo chiamare io?
Certo. Chi dovrebbe prendersi questa responsabiità? Il direttore?
- Pronto?
- Sì, ciao, sono *** della libreria ***. Ti chiamo per quei libri che hai ritirato mezz'ora fa, hai presente? Volevo sapere... per caso li hai rubati? No? Ah be', allora è tutto a posto, e scusa il disturbo.
Scherzo.
Chiamo il cliente e, tra mille cautele, gli domando se per caso non si è dimenticato di passare dalla cassa a pagare i libri che ha preso, spiegando che non risultano usciti. Lui inizia subito a farsi aggressivo; prima mi spiega, in modo un po' confuso, che si è accorto che quei libri li aveva già e non avendo tempo di tornare a ridarmeli li ha semplicemente appoggiati su un tavolo vicino all'uscita. Ovvio. Comunque, prosegue, non sono uno stupido e ho capito benissimo cosa sottintende la tua domanda e siccome non è la prima volta che ho dei problemi di questo tipo col buttafuori, la prossima volta andrò dal direttore per chiarire come stanno le cose.
Vado all'ingresso, prendo i due libri maledetti e rosso come un pomodoro vado dal direttore. Vorrei dirgli ecco, prenditi i tuoi libri, morto di fame che non sei altro, guarda se per due libri devo perdere un cliente... Invece mi accontento di spiegargli come sono andate le cose, dedicando una buona parte del tempo per scagionare il buttafuori.
La morale è: caro cliente, è vero che quando entri ti accogliamo a braccia aperte però se quando esci le braccia le allarghi tu siamo tutti più tranquilli.

giovedì 9 febbraio 2012

marygarrett
La verità, vi prego, sulla danza!
Italia Press 2010

marygarrett, La verità, vi prego, sulla danza!, Italia press 2010Questa non è la recensione di un libro che non ho letto; è semplicemente il racconto di come sono andate le cose dal punto di vista del libraio.
Un paio di anni fa è arrivato in negozio questo libro che ha subito attirato la nostra attenzione per una difficoltà che a voi sembrerà banale ma per noi è tutto: come diavolo schedare il nome dell'autrice? Marygarrett (tutto in minuscolo, tra l'altro) è palesemente la contrazione di Mary e Garrett, Mary nome, Garrett cognome. Si scheda sempre prima il cognome e poi il nome, altrimenti non si trova quando si fa la ricerca sul database. D'altra parte "marygarrett" è una parola sola, come Platone. Voi direte: sì, vabbè... e invece son problemi perché le ricerche sul database finiscono in vacca per molto meno.
A complicare le cose viene fuori che l'autrice non è americana: marygarrett è il nome d'arte di Mariafrancesca (senza spazio) Garritano. Comprensibile che abbia voluto cercarsi uno pseudonimo ma a noi questo scherzetto ha creato non pochi problemi: avete il libro della Garritano, chiedevano i clienti, e noi come degli idioti impazzivamo davanti al computer prima che qualcuno si ricordasse: ma sì, è quello sulla danza! Quando ormai avevamo capito come funzionava qualcuno si è deciso ad inserire il nome dell'autrice per esteso dopo il misterioso "marygarrett" che nessuno tra i clienti, dico nessuno, ha mai utilizzato.
Chi è marygarrett e soprattutto chi comprerà il suo libro? Le risposte non hanno tardato ad arrivare. Fin dal suo ingresso in negozio il libro è andato a ruba e siccome è piuttosto raro che un libro di un piccolo editore abbia un tale successo (capitava che venissero a chiederlo anche due persone diverse nello stesso giorno!) ci siamo un po' informati. Certo le informazioni non erano molto precise ma eravamo abbastanza sicuri che marygarrett fosse una ballerina e che gli acquirenti del suo libro, tutti molto giovani, fossero i suoi compagni di classe.
Ma il tempo passava e le vendite non accennavano a diminuire; c'erano dei cali, dei periodi in cui non se ne vendeva una copia, e poi all'improvviso riprendeva. Eravamo in pieno fenomeno passaparola, quello vero, non quello artefatto dei colossi editoriali.
Alla fine è venuta anche la curiosità di sapere cosa ci fosse scritto di tanto interessante in questo libro. Ma a questo punto avevano iniziato a parlarne anche i giornali e il mistero non era più tale. Una volta ho dovuto bloccare una signora che voleva acquistarne una copia per la sua nipotina che faceva danza (dirottata sulla più tranquillizzante Marsotto).
Oggi sulla stampa il libro viene rilanciato per una questione legata all'anoressia delle ballerine. Ma ormai da un po' il libro è esaurito e non sembra che l'editore abbia fretta di ristamparlo. E qui veniamo alla morale di tutta la storia: si inondano le librerie di ristampe di cui nessuno sente il bisogno e una volta che un editore si trova per le mani un titolo di successo lo lascia andare esaurito. L'unica spiegazione che riesco a darmi è che si stia trattando a peso d'oro il passaggio a qualche grande editore. Anche perché la povera marygarrett nel frattempo è stata licenziata proprio a causa del suo libro e la sua carriera come ballerina non la vedo molto promettente. Meglio fare la scrittrice.

giovedì 2 febbraio 2012

Regola N. 4: "Mai correggere un cliente"

Il dibattito è appassionante e ritorna con incredibile frequenza dato che i nostri clienti offrono, da questo punto di vista, una quantità di spunti persino eccessiva: è giusto correggere un cliente che sbaglia?
Partiamo da una considerazione: il cliente non si fa nessun problema, anzi gode nel correggere il libraio che sbaglia e, diciamolo, le occasioni non mancano. Ricordo ancora con quanto imbarazzo scoprii che il Cyrano non era stato scritto da tale Bergerac; ma in ogni momento può capitarti l'appassionato di filosofia orientale che ti chiede con tranquillità se hai qualcosa di "IohçJh$U" e tu o ammetti la tua ignoranza (no, non è ammissibile: voi siete sempre stati i migliori!) oppure ci provi finché non viene il momento in cui il cliente ti dice sorridendo:
- Si scrive con l'acca.
Intorno intanto si è formato un capannello di persone che guardano lo schermo del pc e assistono sconcertate alla tua involuzione che termina con la resa:
- Mi può fare lo spelling?
Ma per il libraio la cosa è diversa perché, si sa, il cliente ha sempre ragione. D'altra parte è anche vero che non tutti i clienti sono uguali. Gli studenti per esempio rappresentano il grado zero dell'essere umano dotato di bancomat, cioè del cliente. Allo studente non si perdona niente, nemmeno la scortesia di essersi presentato in negozio. Si può chiudere un occhio con certe studentesse, ma senza esagerare. Lo studente va corretto sempre e in maniera decisa, senza esitazioni, e se è il caso si può anche affondare il colpo:
- Guarda che se fai di questi errori all'esame non so se lo passi...
Il più classico degli errori ha per protagonista Jung: la maggior parte degli studenti non si capacita del fatto che il povero psicologo abbia un cognome che si pronuncia esattamente come si scrive; e siccome l'Inghilterra, come tutti sanno, è la patria della psicologia, questi sciagurati si presentano con la stampata della bibliografia e, ditino teso, sparano:
- Mi serve questo libro di Young...
Il vero problema sono i clienti adulti, apparentemente studiati se non addirittura laureati. Alcuni colleghi hanno le idee molto chiare: correggere il cliente che sbaglia è prima di tutto un modo per dimostrare la nostra preparazione. Ho l'impressione che questi colleghi si portino dietro un fardello di insoddisfazione per la loro condizione professionale che trova in queste situazioni una valvola di sfogo un po' pericolosa. In cosa consiste allora il tuo lavoro? Nel sapere a memoria cose che chiunque ormai sa trovare su internet? E cos'è questa, cultura? Il libraio peggiore è quello che pretende di avere clienti degni di lui, è un libraio che storce il naso di fronte a un titolo inesatto, che non si fa mai trovare impreparato ma che non scende mai dal suo piedistallo di primo della classe.
Ma forse c'è dell'altro. Correggere un cliente è una forma di... interesse, quasi di affetto nei suoi confronti, significa evitargli di fare figuracce in altri contesti, magari più importanti di quanto possa essere una libreria. Da questo punto di vista si correggono i clienti a cui si vuole bene. Sarà per questo che io non correggo mai un cliente.
La mia specialità è la ricostruzione di un record bibliografico dati alcuni elementi parziali e completamente errati. Quando un cliente viene e mi dice:
- Ho provato a chiedere questo libro in altre librerie ma non hanno trovato niente...
io mi metto a digitare e alla fine trovo sempre l'errore. Ma non dico niente. Prendo il libro, se ce l'ho, e glielo consegno. Se il cliente è sveglio e guardando la copertina si accorge dell'errore allora io gli faccio un gesto con la mano come a dire "lasciamo perdere"; se no lui se ne va col suo libro e io passo a un altro cliente. Se il libro non c'è non vedo perché dovrei semplificare la vita a qualche collega concorrente dando al cliente i dati bibliografici esatti. La mia professionalità, alla quale per altro tengo pochissimo, non mi pare ne esca minimamente scalfita.
E poi cosa dovrei dire? Guardi, il problema è che i miei colleghi di altre librerie si sono fidati di lei che diceva di essere sicuro che il titolo era quello ed era esatto; io invece appena l'ho vista ho capito che non potevo fidarmi di lei, così io le ho trovato il libro e gli altri no.
E poi non siamo mica a scuola, no?