martedì 29 dicembre 2009

Approfitto dei giorni di ferie che mi sono stati concessi e me ne vado in giro. Capito davanti alla libreria Pecorini. Mi ha sempre incuriosito perché loro sono anche distributori ed io li conoscevo soprattutto per questo.
«Quasi quasi entro» dico tra me.
Alla porta un cartello invitante: ingresso libero. La porta sembra di quelle vecchie, pesanti. Mi preparo con una piccola rincorsa e...
La porta è chiusa a chiave. Il mio tentativo maldestro ed incredibilmente rumoroso viene notato da una signora all'interno che mi apre impietosita. Se avessi saputo che la porta era chiusa non mi sarei mai nemmeno avvicinato. Ora mi tocca entrare per forza.
Spiego che sono entrato solo per curiosare e decido di non dire che sono un libraio. La signora è molto gentile e mi illustra com'è organizzata la libreria. Anche a me piaceva presentare il negozio, è un po' come far vedere la propria casa agli ospiti.
Mi guardo attorno. Una sala che sa di antico, libri di musica, volumi quasi di antiquariato e su un lato della sala un clavicembalo. «Ok, cinque minuti, giusto per far vedere che approvo l'idea, e poi me ne vado».
- Se vuole c'è anche il magazzino.
Il magazzino? Il magazzino di un distributore? Beh, quasi quasi...
Nel magazzino incontro la proprietaria. Con lei cedo, declino le mie generalità, il mio passato e il mio presente. Soprattutto il presente.
Anche stavolta mi confermo irresistibile con le signore di una certa età. Cominciamo a parlare di quello che parlano di solito i librai, mascherando in qualche modo la mia incompetenza con dei silenzi di approvazione.
Sto per andarmene quando la proprietaria mi chiede di lasciarle i miei dati. Il cellulare. L'indirizzo. Il titolo di studio.
Mi sembrano richieste un po' strane. Pazienza, penso, magari l'anno prossimo mi arriva a casa un pacco per Natale.
Quando all'ultima domanda rispondo di aver fatto il Classico ho già la mano sulla maniglia della porta.
- Allora devo farle vedere questo.
E tira fuori un Petrarca di Tallone. Lo apro. Lo tocco. Passo la mia mano sul primo sonetto, voi ch'ascoltate in rime sparse... Ripenso ai caratteri mobili, al museo di Cornuda, ai libri dell'Ottocento, alla tesi...
- Pochi libri, buoni, letti e tenuti bene.
E tira fuori un Boccaccio ed altre cose che non ricordo. Ha toccato le corde giuste, ma ormai è tardi.
Me ne vado soddisfatto.
Vedere e toccare. E il tempo che fa il suo mestiere.
Ecco perché certe cose si pagano care.
Ecco perché il libro non morirà, ancora per un po'.

lunedì 28 dicembre 2009

Carlo Maria Martini, Georg Sporschill
Conversazioni notturne a Gerusalemme
Mondadori 2008

Pensavo di leggere una meditazione sulla morte che si avvicina (il cardinal Martini ha una certa età...), un libro crepuscolare come l'immagine di Gerusalemme bruciata dal sole che occupa tutta la copertina, una riflessione sulla notte che si avvicina... niente di tutto questo.
La parola che ricorre più frequentemente credo sia "giovani". Ai giovani, alla loro educazione, ai loro dubbi, ai loro sentimenti è dedicato quasi interamente questo libro tanto che ad un certo punto ho pensato che la sua collocazione naturale nello scaffale di religione non fosse in realtà la più corretta. Potrebbe stare tranquillamente sullo scaffale dedicato ai problemi dell'adolescenza e persino su quello di pedagogia. Ci sono indicazioni utili per gli insegnanti, ed io ne so qualcosa.
Proseguendo nella lettura mi sono trovato a pensare che il successo di questo libro forse si deve anche ad una certa somiglianza, solo formale e non certo nei contenuti, con certi libri di santoni orientali che insegnano come essere felici e in pace con se stessi. La forma a domande e risposte sacrifica qualcosa della consequenzialità logica del ragionamento in favore di un'immediata fruibilità del contenuto. Non un lungo ragionamento di cui apprezzare il rigore, piuttosto una serie di pensieri su cui riflettere.
Non mancano le domande sulla Chiesa, sui problemi che oggi si trova a dover affrontare e qui si coglie un altro motivo del successo di questo libro: Martini non si tira indietro e ribadisce le sue posizioni che in una parola potrei definire "progressiste", una vera manna per chi va in cerca di polemiche ma anche un'occasione di riflettere seriamente per chi è in cerca di risposte sulle grandi questioni etiche e morali moderne. Magari per scoprire che certi problemi che oggi sembrano insormontabili hanno invece soluzioni semplici.
Cito a questo proposito un breve passaggio.
Come vescovo cattolico approverebbe la costruzione di un minareto [...]?
La funzione di un minareto è garantire che i musulmani possano essere chiamati alla preghiera. Il punto è quanti musulmani vivono nella comunità e pregano cinque volte al giorno. Se essi sono molti o la maggioranza, avranno bisogno del minareto, proprio come i cristiani hanno bisogno delle campane quando sono numerosi. Anch'essi non possono pretendere le campane se sono solo un gruppetto tra persone di confessione diversa.
Possibile che sia così semplice? Oggi abbiamo la tendenza a ridurre gli argomenti di discussione a questioni "di principio". Forse basterebbe un po' di sano e umano pragmatismo.

sabato 26 dicembre 2009

Anonimo
Fratelli d'Italia?
Battello stampatore 2009

Il libro è uscito di recente dalla clandestinità del passaparola grazie a qualche recensione sui giornali giusti oltre che su internet. Risultato: prima il libro non si trovava e tutti lo volevano, adesso che il libro ci è arrivato più nessuno lo cerca. La casa editrice ha creato un sito in fretta e furia (www.battellostampatore.it) dove il libro campeggia col sintetico riassunto che poi si trova anche in altri siti. Nessun codice ISBN, tanto per rendere l'idea.
La trama è semplice e ormai la sanno tutti: nel 2010 cade il Governo e il Veneto fa la secessione. Più che una trama, un'ipotesi di lavoro.
Su questa ipotesi l'anonimo autore sviluppa una serie di riflessioni di sorprendente acutezza, articolate ed in larga parte condivisibili.
Tutto nasce dalla domanda: perché si è arrivati a tutto questo? Facile immaginare che la spiegazione non sia semplice, che la ragione non sia una sola e che comunque, nonostante l'analisi, qualcosa continuerà a sfuggire, rimarrà nella zona oscura delle cose che non si possono prevedere. Mi è sembrato comunque particolarmente opportuno l'aver introdotto, come categoria di comprensione della realtà italiana, quella che l'autore chiama "narrazione". Non si tratta, come a prima vista potrebbe sembrare, del solito ritornello sui mass media che manipolano l'opinione pubblica e che si risolve in un'antitesi tra informazione e controinformazione. Semplificando possiamo definire la narrazione come "la realtà così come ce la raccontiamo". Artefici della narrazione sono in primo luogo i giornalisti ma anche i politici, gli opinionisti e tutti quelli che in qualche modo hanno accesso ai mezzi di comunicazione.
La narrazione coinvolge però anche l'autorappresentazione della realtà, la lettura che ne diamo per fare in modo che certe tessere del mosaico trovino la loro collocazione, che certi fatti abbiano una spiegazione o più semplicemente una giustificazione. La narrazione, in questo senso, possiede diversi livelli di profondità ma si polarizza su due estremi, la narrazione superficiale e la narrazione profonda, ovvero una maggiore o minore aderenza ai fatti. In entrambi i casi tuttavia siamo lontani dalla loro vera comprensione.
L'assuefazione al racconto ci fa sembrare normali cose che normali non sono come parlare di milioni di persone in piazza quando al massimo se ne contano qualche migliaia.
Attraverso la narrazione ci allontaniamo progressivamente dalla realtà fino a perdere la capacità di riconoscerla. E ci avviciniamo alla katastrophe.

lunedì 21 dicembre 2009

Diamo atto ai maghi delle previsioni del tempo di averci preso. La nevicata è stata prevista ed abbondantemente annunciata. I giornali si sono allarmati come sempre ma la strada, a onor del vero, è praticabile. Ma quante automobili, e quanti posti vuoti sull'autobus!
Guardo le jeep, i suv, le 4x4 tutte ordinatamente in colonna. Chissà se è vero quello che mi ha detto il capo, cioè che il sindaco di Londra avrebbe dichiarato che, ogni volta che vede uno sopra un suv, non può fare a meno di pensare che quello sia un cretino. L'aneddoto forse è falso, ma il giudizio è ineccepibile.
Comunque la situazione non è certo paragonabile a quella di quattro anni fa, quando le strade erano veramente impraticabili. Oggi si viaggia, forse in meno di quattro ore saremo a casa.
L'autista si fa prendere la mano, ogni tanto gli parte il posteriore del pullman.
Sente che può farcela e gli scoccia non provarci.
Per domani si parla di pioggia. Staremo a vedere.

giovedì 10 dicembre 2009

Paolo Jachia
La donna Cannone e l'Agnello di Dio
Ancora 2009

Quando il capo ha visto questo libro, dopo aver millantato di averlo conosciuto, ha concluso: «De Gregori non la prenderà bene» ma io non gli ho dato retta. Invece anche stavolta il capo aveva ragione.
È un peccato che un libro dall'argomento così interessante sia stato confezionato con tanta approssimazione.
Questa collana dell'Ancora mi è sempre piaciuta molto per la sua unicità nel panorama editoriale e forse è per questo che la lettura di questo libro mi ha così deluso.
Non mi riferisco solo ai refusi, che tutto sommato sono nella media, ma soprattutto alle imprecisioni nelle citazioni di canzoni che i fan di De Gregori conoscono a memoria. Per averne un esempio basta leggere i versi de "La donna cannone" sulla quarta di copertina.
Sono indeciso. Si tratta, a mio parere, di errori redazionali più che di scarsa preparazione dell'autore, come dimostra l'errore madornale nel titolo dell'album "Amore nel pomeriggio" circa a metà del libro, citato correttamente poche pagine prima.
Tuttavia potrebbe anche trattarsi di uno stratagemma per non pagare i diritti d'autore che proteggono i testi, ed in questo caso De Gregori farebbe bene ad arrabbiarsi, e non per i soldi ma per i futili motivi del delitto. Lo stesso autore si preoccupa di spiegare che i testi delle canzoni non vengono citati per intero proprio per questo motivo.
Comunque anche l'autore ci mette del suo, ripetendosi in più di un'occasione, come quando spiega che il primo capitolo è praticamente copiato da un suo saggio precedente.
Quanto all'analisi vera e propria, sembra tutto un po' eccessivo, a partire dal continuo ricorso alle citazioni dei versi che dovrebbero sostenere le tesi dell'autore.
In linea generale è evidente la presenza nei testi di un substrato culturale che si rifà alla tradizione cristiana ma questa evidenza non necessita di una dimostrazione, quanto piuttosto di una spiegazione. Perché ad esempio non sottolineare che la Bibbia e i Vangeli fanno parte di un patrimonio culturale condiviso degli Italiani e l'uso che De Gregori ne fa ha quasi sempre una funzione provocatoria e straniante? Pensiamo alla preghiera dei bambini davanti al Presepe, «Gesù bambino, fa che venga la pace» e che in De Gregori diventa «fa che venga la guerra».
Il problema non è che in De Gregori ci siano i richiami al Vangelo; il problema è che De Gregori questi richiami non li usa per comunicare i valori del Vangelo ma li svuota del loro significato "letterale" e li usa, al pari di espressioni prese da contesti diversi, come mattonelle per costruire nuovi significati. Decontestualizzando le immagini sacre si crea una sovrapposizione di significati che "apre" l'opera.
Mi sarebbe piaciuto che l'autore avesse affrontato questo tipo di analisi invece di limitarsi ad un elenco di corrispondenze.
Certo, alcune letture sono suggestive, soprattutto quella de "La Donna cannone" e di "Ninetto e la colonia" (ma sono anche originali?) ed alla fine rimane il sospetto che ci sia veramente «qualcosa che brucia in tutto questo fumo». Però non posso fare a meno di pensare che un lavoro del genere l'avrei potuto fare anch'io, e forse sarebbe anche venuto meglio.
Come se non bastasse, viene ampiamente citato un saggio di Roberto Vecchioni che, per quel poco che se ne può capire, è di ben altro spessore. Peccato sia solo una dispensa universitaria.