martedì 29 settembre 2009

Basta chiedere

Oggi mi sono occupato di cose serie: soldi.
Per prima cosa ho cercato la nuova sede dell'assicurazione con cui ho sottoscritto la pensione integrativa. Qui ho parlato con una ragazza che indossava un reggiseno di brillantini rossi sotto una camicia bianca che si chiudeva a fatica ed era comunque indossata con molta negligenza. Nonostante la sua evidente inesperienza, nel portare abiti così come nel lavoro, ho ottenuto quello che volevo sapere: l'ultimo versamento sul fondo pensione risale a gennaio 2009. Ho chiesto spiegazioni e la risposta è stata: noi non possiamo farci niente, la legge dice che i datori di lavoro devono versare le quote, se non lo fanno ci devi pensare tu, o i sindacati.
Accecato dall'ira sono uscito e sono andato dai capi, cioè dal capo che si occupa di queste faccende.
- Ciao, dimmi tutto.
- Volevo sapere qualcosa del mio stipendio.
- Ho detto a *** di pagarti tutto entro la fine del mese.
- Tutto, anche la quota del TFR?
- Tutto.
- No, perché sai...
- Sì, abbiamo avuto delle difficoltà...
- No, volevo dire che... non vi siete fatti sentire per dei mesi...
- Ma come, io ho parlato con ***, potevi chiedere a lei!
- Sì, ma non è *** il mio datore di lavoro. Sei tu.
- Come sei formale! Io non posso tutte le volte venire a dirvi le cose. Parlo con le persone che vedo e poi queste vi riferiscono!
- Sì ma qui parliamo di qualche mese senza stipendio, forse era il caso...
- Beh, ma se avevi bisogno potevi dircelo, avremmo trovato una soluzione.
- Mah, sai, lo stipendio non è una cosa che devo chiedere come se... va beh, comunque se è tutto a posto io posso andare. Grazie.
Forse, con un po' di prontezza di spirito avrei anche potuto far notare che la fine del mese è domani. D'altra parte oggi mi sono reso conto che in situazioni di particolare tensione il mio corpo reagisce con un terrificante calo di voce: sono uscito per strada che ero quasi afono.

lunedì 28 settembre 2009

Pochi, maledetti e subito?

Che grande invenzione che è l'Home Banking! Puoi ricaricare il telefono senza muoverti da casa, fare i bonifici, gestire i titoli...
Io, ad esempio, controllo da quanto tempo i miei ex datori di lavoro non mi pagano lo stipendio.
A metà aprile mi hanno dato gli stipendi di gennaio e febbraio.
A luglio mi hanno dato gli stipendi di marzo e aprile.
Fine.
Io so bene che ci sono delle difficoltà, ma ho lavorato lì per tre anni, e i soldi in cassa c'erano, non molti ma c'erano. Che fine hanno fatto? Possibile che in questa "azienda" l'ultima cosa a cui si pensa sia pagare i dipendenti?
Ultima domanda: quanto tempo riuscirò a resistere ancora prima di fare nomi e cognomi di questa squadra di incapaci?

sabato 26 settembre 2009

Alberto Cavanna
Da bosco e da riviera
Rizzoli 2009

Il protagonista di questo romanzo si chiama Pietro ed è figlio di un costruttore di navi. La sua vita e quella della sua famiglia sono scandite dai ritmi imposti dal lavoro: ogni anno il padre di Pietro costruisce una nave, solo una, seguendo procedimenti che sono il risultato di anni, forse secoli di esperienze che si sono sedimentate, come un patrimonio genetico che si tramanda ad ogni generazione.
Questo mondo, fatto di contratti conclusi con una stretta di mano, è destinato a soccombere sotto i colpi della modernità. Per la famiglia di Pietro il momento cruciale è la costruzione di una grossa barca, la più grossa che in quel piccolo cantiere fosse mai stata costruita. L'armatore cerca di convincere il padre di Pietro a riorganizzare il lavoro per renderlo più efficiente anche a costo di infrangere quelle regole che da sempre lui aveva seguito. Inizialmente il vecchio rifiuta ma alla fine, resosi conto dell'inevitabilità del cambiamento, si ritira e lascia il cantiere nelle mani di Pietro.
Il giovane si fida dell'armatore, costruisce tre barche contemporaneamente per ottimizzare le spese ed aumentare i guadagni. Quando si rende conto che l'armatore punta solo ad impossessarsi del cantiere è ormai troppo tardi. Il cantiere fallisce, il padre muore e Pietro, come in cerca di espiazione, inizia a lavorare nei doppifondi delle navi da trasporto come saldatore. Dal legno al ferro. Dopo tre anni di questa vita massacrante prende la decisione di partire. Lavora prima a bordo delle navi che fanno il loro ultimo viaggio verso i cantieri di demolizione, poi in un cantiere inglese dove restaura vecchie barche per ricchi collezionisti.
Inizia una lenta risalita che è anche un ritorno al passato, un inesorabile riavvicinamento al mondo dal quale proviene. Finché decide di tornare veramente al suo paese natale, ricompra la barca che era stata di suo padre e con questa parte, senza una meta.
Alla sua storia si intreccia quella di Maddalena, bella ragazza di provincia che decide di sfruttare le armi femminili per raggiungere il successo. Il suo personaggio segue uno sviluppo lineare, se di sviluppo si può parlare: coerente dall'inizio alla fine, quasi prevedibile nelle sue mosse e fondamentalmente privo di spessore.
Terzo ed ultimo protagonista del romanzo è il coro, una voce narrante che racconta piccole storie di paese e indirettamente un bel pezzo di storia italiana. Le particolari scelte linguistiche che l'autore utilizza per definire questo personaggio (uso della prima persona plurale, di termini dialettali, di un periodare spesso molto vicino alla lingua parlata) ne fanno una presenza leggera, spesso ironica, ma tutto sommato un po' slegata dalla vicenda di Pietro ed in più di un'occasione eccessivamente prolissa.
Il racconto delle vicende di Pietro è sicuramente il perno intorno a cui ruota il romanzo, la parte più sviluppata e forse anche la meglio riuscita dal punto di vista narrativo. Non a caso il suo personaggio è sicuramente quello meglio riuscito, anche se ho trovato inutile l'insistenza con cui ci viene ricordata la sua passione per la lettura. Lo stereotipo dell'operaio colto che fa un lavoro umile ma che ha una grande cultura non solo non rende giustizia all'operaio ed alla dignità del suo lavoro ma rende inverosimile un personaggio che per il resto sembra ben costruito tanto nelle sue caratteristiche quanto nel suo sviluppo.
Si respira l'aria di Aci Trezza soprattutto nella prima parte di questo romanzo riuscito a metà.

venerdì 25 settembre 2009

Il veccho Asus P525 ed un suo piccolo problema

Manca meno di una settimana all'inizio del nuovo lavoro. Passo il tempo cercando di organizzarmi in modo da sfruttare al meglio il tempo del viaggio e quello che mi rimarrà una volta arrivato a casa, anche se conoscendomi il tutto si risolverà in un abbiocco mattutino, uno serale ed il giusto riposo del guerriero dopo cena (cioè verso le 22.00).
Mio fedele compagno in questa nuova avventura sarà il vecchio Asus P525 che da qualche anno mi segue ovunque. Inizialmente ero scettico sull'utilità di un affare come questo. Prima facevo parte di quegli snob che dicevano che un telefono serve per telefonare; oggi non potrei fare a meno di un palmare. Foto, musica e soprattutto la possibilità di prendere appunti in qualsiasi momento. E poi, se serve, persino telefonare. Tutto in un affare che è poco più ingombrante del mio portafogli (ma messo molto meglio, del portafogli, intendo).Il vecchio P525 viaggia su Windows Mobile 5 e devo essere onesto: non mi ha mai dato problemi. L'unico momento drammatico l'ho vissuto un paio d'anni fa, quando improvvisamente il telefono ha smesso di emettere suoni. In pratica: il telefono non squillava più e tutte le chiamate andavano a farsi benedire. Anche le chiamate che facevo io, dato che all'altro capo dell'apparecchio non si sentiva niente di quello che dicevo. Se infilavo le cuffie, partivano i comandi vocali (muti), e lo stesso quando le toglievo.
Ho cercato su Google, fatto tentativi, formattato. Niente. Poi improvvisamente la soluzione.
Il problema era stato determinato dalla rimozione delle cuffie. Questa operazione deve avvenire in modo deciso, senza esitazioni, altrimenti il P525 pensa che le cuffie siano ancora inserite (anche se sono state tolte) e si comporta di conseguenza. La soluzione empirica è di "fingere" di infilare le cuffie, ovvero di infilare solo la parte iniziale del jack e di rimuoverla subito, riproducendo quell'esitazione con cui le cuffie erano state tolte la prima volta. Il P525 penserà che le cuffie, che lui crede essere ancora inserite, siano ora state finalmente tolte.

mercoledì 23 settembre 2009

Un modo ecologico (e italiano) di fare ricerche su internet

Mentre ero impegnato in una ricerca di cui darò conto fra un po', mi sono imbattuto in un sito che ho deciso di segnalare immediatamente. Si tratta di Blackr e per essere il più chiaro possibile, cito testualmente:
Blackr.it vi invita ad usare una pagina di ricerca con fondo nero per ridurre lo stress visivo e risparmiare migliaia di watt mentre effettuate le vostre abituali ricerche. Il motore di ricerca è stato creato con Google Co-Op in una nuova veste nera. Tutte le ricerche di questo portale vi porteranno a visualizzare i risultati con fondo nero e testo grigio chiaro. Blackr non ha alcun legame con Google, è un'iniziativa italiana per il risparmio energetico.
Riflettendoci è ovvio, eppure non avevo mai pensato a questo risvolto energetico dell'uso del bianco. Ora che lo so, sulla mia barra di ricerca ci sarà solo Blackr. Tanto più che i risultati delle ricerche sono identici a quelli di Google!Tuttavia mi domando: perché non usare un nome italiano, visto che l'idea è nostra? Mi si risponderà: per dare un respiro internazionale al progetto, per non essere i soliti provinciali. Sarà, ma ho appena letto un articolo sulla nuova Alfa Romeo che verrà prodotta in America e che si chiamerà "Milano" (ma da noi la stessa auto si chiamerà 149) mentre la Ferrari chiama "Italia" il suo ultimo modello. "Italia", non "Italy".
I piccoli non sempre capiscono quando è il momento di imparare qualcosa dai grandi.

lunedì 21 settembre 2009

Sono come un bambino. Solo che invece di comprare l'astuccio e i quaderni io preparo scarpe comode e contenitori per il pranzo. Il mio palmare ormai è quasi pronto, anche il pc di casa è stato riorganizzato per le nuove esigenze. Questa settimana sarà dedicata alla pianificazione del viaggio: orari dei mezzi e abbonamenti.
La vita del pendolare non fa per me. Oggi faccio molti buoni propositi (leggere durante il viaggio, preparare i post da inserire nel blog, magari addirittura guardarmi qualche programma registrato sul telefonino e perché no, studiare un po' di inglese) ma andrà a finire come sempre: abbiocco immediato e sveglia al capolinea.
Incomincio ad essere emozionato per l'inizio del nuovo lavoro, che poi in realtà non è che un ritorno a casa. Non ho grandi aspettative, spero solo di non fare disastri. Molte cose sono cambiate nel nuovo negozio e questo gioca a mio favore: dovrò ripartire quasi da zero!
Il vecchio negozio sta affondando. So che daranno la colpa a me e quello che più mi dispiace è proprio il fatto che non ci sia nessuno là dentro in grado di capire la quantità (e la qualità) del lavoro da me fatto in questi anni. Non credo di essere presuntuoso: sono (anche) un insegnante e saper valutare il mio lavoro e quello degli altri fa parte del mestiere. Sono convinto che il tempo mi farà giustizia.

domenica 20 settembre 2009

Sapevo che sarebbe andato tutto allo sfascio, ma non immaginavo fino a questo punto e in così poco tempo!
Ieri era l'ultimo giorno ufficiale del mio contratto, anche se ero in ferie già da un po'. Ho aspettato fino all'ultimo giorno a consegnare le chiavi del negozio un po' per vedere se qualcuno aveva il coraggio di farsi sentire, un po' per avere la scusa per tornare a vedere la situazione. Beh, sono entrato e non credevo ai miei occhi.
Prima di andarmene avevo preparato le rese più grosse, messo i libri negli scatoloni (erano solo da chiudere e portare, c'era già anche l'autorizzazione) ed avevo finito di sistemare gli scaffali di varia lasciando un bel po' di spazio in previsione dell'arrivo delle novità autunnali. Sapevo che le mie colleghe non avrebbero avuto il tempo e la voglia di fare il lavoro per bene (ordine alfabetico, spostare i libri quando serve...) ma che avrebbero preso e sbattuto a scaffale senza grande criterio. Così ho pensato di facilitare loro il compito lasciando lo spazio necessario.
In mia assenza si è presentato il capo. Ha visto gli spazi vuoti e dall'alto della sua competenza ha sentenziato: gli scaffali così vuoti non stanno bene.
La nuova arrivata, quella che ha preso il mio posto, aveva lavorato in negozio quest'inverno e mi era sembrata sì intraprendente ma anche tremendamente incapace, quindi potenzialmente molto pericolosa se lasciata libera di agire. Tuttavia mi sbagliavo.
La ragazza si è dimostrata tutt'altro che intraprendente. Nel tentativo di correggere quello che a tutti sarà apparso come un mio errore estetico, ha seguito alla lettera le indicazioni del capo: ha spostato tutti i libri in modo da riempire per bene gli spazi negli scaffali e sui ripiani rimasti vuoti ha sistemato i catechismi. Brava. Ci volevi tu per mettere le cose a posto.
Quando la nuova arrivata si accorgerà che gli scatoloni che si stanno accumulando sono pieni di libri da esporre se ne uscirà sicuramente con la frase che in tanti hanno pronunciato prima di lei per giustificare le loro mancanze: «Ci vorrebbe più spazio». Eh già. Perché non ne usiamo un po' di quello che c'è nella tua scatola cranica?
Ma io non ce l'ho con le donne. Anzi, sono convinto che le donne abbiano capacità che noi uomini non avremo mai, come ad esempio quella di leggere le parole a testa in giù. Deve essere il risultato di qualche lungo processo di evoluzione. Non so a cosa possa loro servire ma non mi spiego altrimenti perché sia le mie due vecchie colleghe, che potevano aver ereditato questo modo di fare da esperienze precedenti, sia la nuova arrivata, che ce l'ha di suo, riescano a posizionare sistematicamente i libri con le scritte al contrario. Ne ho avuto conferma anche ieri, quando mi sono accorto che tutti i catechismi sono esposti al contrario.
E fosse solo per i catechismi! Una delle mie più brucianti sconfitte è stata quella per il raddrizzamento dei fogli delle prenotazioni.
La procedura prevedeva di stampare le prenotazioni, tagliare a strisce il foglio con le prenotazioni in modo che ogni striscia corrispondesse ad un cliente ed infine infilare il foglietto nel libro prenotato. E qui il meccanismo si inceppava. Il foglietto infatti, infilato nella parte alta del libro, risultava illeggibile quando i libri venivano impilati uno sopra l'altro. L'unica soluzione era di girare i libri al contrario. Stesso problema quando i libri venivano appoggiati al muro (come nel caso dei libri scolastici). Bisognava scegliere: o i foglietti finivano contro il muro (illeggibili), oppure tutti i libri andavano messi al contrario. Naturalmente era prassi seguire questa seconda strada.
La mia proposta di risolvere la situazione infilando il foglietto nella parte bassa del libro è sempre stata ritenuta troppo complicata e comunque inutile e forse dannosa.

martedì 15 settembre 2009

J.M.G. Le Clézio
Il ritornello della fame
Rizzoli 2009

Il romanzo ha inizio e si chiude in prima persona (l'io narrante è l'autore stesso) mentre la parte centrale è svolta in terza persona; il narratore abbraccia quasi esclusivamente il punto di vista di Ethel Brun, la giovane protagonista «figlia unica di una famiglia in guerra, tra le mura di una casa in pericolo». Questa frase riassume molto bene se non tutta la vicenda almeno l'atmosfera che si respira dalla prima all'ultima pagina e non a caso è citata anche nella quarta di copertina.
Esiste ed è ben chiara una frattura fra il modo in cui la famiglia di Ethel cerca di apparire e la realtà. Il padre di Ethel sta dilapidando il patrimonio familiare con una serie di investimenti sconsiderati ma è incapace di accettare la sua condizione di fallito e cerca continue giustificazioni alle sue sconfitte. La madre rimane in disparte, preoccupata solo di mantenere una pace familiare che è solo apparenza ma che le è necessaria per non affrontare il nodo irrisolto del rapporto con suo marito. I due coniugi sono infatti divisi da un episodio del passato, un tradimento del padre di Ethel con una cantante che ha lasciato una ferita aperta nel loro matrimonio.
Fanno da contorno a questa famiglia, parigina ma di origini mauriziane, normale solo in apparenza, gli ospiti che si ritrovano ogni prima domenica del mese nel salotto di casa Brun. Un rito che si ripete sempre uguale a se stesso, un teatrino al quale Ethel assiste annoiata, rimanendo in disparte per tutto il tempo. Annota su un taccuino le frasi che sente, affascinata dalla loro assurdità e le pagine del romanzo, in questi momenti, assumono proprio una forma teatrale, semplici trascrizioni dei dialoghi da salotto di questi incontri mondani. Non c'è bisogno di commento, sembra voler dire l'autore.
Ethel, di questa commedia, non vuole far parte. Osserva e capisce tutto, nonostante che i genitori si illudano del contrario. Capisce che tra loro è in atto una guerra, anche se forse non ne comprende le ragioni; capisce che gli ospiti di casa Brun sono persone dalle quali stare alla larga; si rende conto, col tempo, che il padre sta portando la famiglia alla rovina.
L'infanzia felice di Ethel è fuori dalle mura di questa casa. È nell'amicizia con Xenia, una coetanea discendente di una famiglia russa decaduta e della quale Ethel subisce il fascino; è negli incontri con il signor Soliman, un parente che la accoglie in una vecchia abitazione in un quartiere periferico di Parigi, dove Ethel dà libero sfogo alla sua fantasia di bambina.
La contraddizione fra i due ambienti nei quali vive la protagonista, ovattato e falso quello familiare, ugualmente irreale ma ricco di stimoli quello "esterno", è destinata prima o poi ad emergere. Ed è proprio nel momento in cui questi due mondi si incontrano che l'infanzia di Ethel si interrompe ed ha inizio la caduta di tutta la famiglia.
In un estremo tentativo di speculazione il padre di Ethel si fa intestare il terreno su cui sorge la "casa color malva" del signor Soliman, terreno che il vecchio le aveva lasciato in eredità alla sua morte. La costruzione di un palazzo su questo terreno coincide però con l'inizio della crisi economica causato dalla guerra. A questo si aggiunge un incidente che lascia invalido il padre di Ethel. In breve la famiglia Brun si ritrova strangolata dai debiti e costretta a vendere tutto.
A questo punto alla tragedia familiare si sovrappone la tragedia della storia: da Parigi la famiglia di Ethel fugge a Nizza, tra gli sfollati. Il trasferimento rappresenta così l'abbandono di ogni residuo di ipocrisia, la presa di coscienza della propria condizione di povertà, ma segna anche la definitiva emancipazione di Ethel, il punto di arrivo di un processo di maturazione iniziato a Parigi, nel momento in cui si rende conto che il palazzo voluto dal padre porta con sè la distruzione della "casa color malva". La vista del vuoto fisico del terreno provoca anche un vuoto dell'anima, un'assenza dolorosa ma necessaria, lo spazio nero dove costruire la propria vita, l'abbandono dei sogni dell'infanzia per entrare pienamente nel mondo degli adulti. Ethel, ancora giovanissima, si assume coraggiosamente la responsabilità di guidare la famiglia. Assistiamo così ai sopralluoghi sul cantiere del palazzo, al tentativo di salvare almeno la casa dal fallimento, alla decisione improvvisa di lasciare Parigi.
Il momento culminante di questo processo è l'incontro di Ethel con Maude, la cantante amata in passato dal padre ed oggi ridotta a cercare il cibo tra gli scarti del mercato di Nizza. Ethel inizia a farle visita nella povera casa in cui vive, le porta qualcosa da mangiare e sembra provare un sincero sentimento di pietà nei suoi confronti. È forse questo il momento più commovente del libro, quello in cui grazie a Ethel la famiglia Brun sembra riscattarsi moralmente. E forse non è un caso che proprio da questo momento inizi anche la risalita economica e sociale che si conclude con la fine della guerra.
Morto il padre, da tempo chiuso nei suoi pensieri come in una sorta di purificatrice demenza senile, Ethel saluta la madre che rimane a Nizza, in attesa della morte. Il suo futuro è altrove.
* * *
Dato che lo scrittore ha vinto il Nobel, non ero particolarmente fiducioso. L'ho letto seguendo un "quasi consiglio" dell'agente Rizzoli e dopo averne valutato le dimensioni accettabili.
La vicenda in sé non ha nulla di straordinario e non è per nulla avvincente. Rimangono però nella memoria i ritratti dei tre protagonisti, i membri della famiglia Brun, che si costruiscono poco a poco, attraverso le vicende narrate. In particolare i dialoghi di Ethel sono spesso sorprendenti. È come se il suo processo di maturazione ci venisse nascosto per apparire improvvisamente come un lampo. Una frase, una risposta, un pensiero nascosto e quasi viene da pensare: Ethel, cosa ti sta succedendo?
Questo modo di costruire, più che di descrivere il personaggio, fa sì che nemmeno alla fine del racconto si riesca ad avere un'immagine definitiva della protagonista: il suo carattere è in continua evoluzione sotto la spinta di una "fame di vivere" che non sembra essersi esaurita quando termina il romanzo.
Lo sviluppo degli altri due personaggi è più lineare, in qualche modo prevedibile ma non per questo meno riuscito. Il padre suscita solo compassione per la sua inettitudine, anche quando arriva a sottrarre l'eredità della figlia per gettarla in pasto agli speculatori. Non c'è una sola pagina in tutto il romanzo in cui si ha l'impressione che da questo personaggio possa venire qualcosa di buono. La madre sembra l'unica persona a provare per lui un po' di affetto sincero.
Il personaggio di Xenia è avvolto da un alone di mistero ed è quello con il carattere meno definito. Esce di scena quasi improvvisamente a metà del racconto perché il suo ruolo è legato all'infanzia di Ethel. Le due amiche inseparabili prendono due strade diverse e quando si incontrano nuovamente Ethel si sente a disagio: non si può tornare indietro.
Questo non è il mio primo blog. Forse è per questo che non ho più nessuna voglia di scrivere la solita lunga introduzione per spiegare chi sono e quali dei miei problemi penso di risolvere attraverso questo blog.
Parlerò del mio lavoro e di quello che ci gira intorno, lo farò quando ne avrò voglia e se ne avrò il tempo.
Non ho ambizioni da scrittore, anzi posso dire che la scrittura non è mai stata il mio forte nemmeno quando facevo i temi alle superiori. Risultare comprensibile a persone diverse da quelle che sono con me adesso in questa stanza mi costerà dunque un certo sforzo: pretendo il rispetto che si deve al quarto classificato, quello che ci prova senza riuscirci.
Spero che a nessuno venga in mente di copiare i contenuti di questo blog e spacciarli come farina del suo sacco senza avermi almeno avvertito. Tanto più che in giro c'è di meglio, basta cercare.
Per il resto fate un po' come volete.