giovedì 22 dicembre 2011

Mi sa che quest'anno il Natale non è nemmeno cominciato.
Io credo che molto sia dovuto all'improvviso cambio di governo, al fatto che ci sentiamo tutti un po' più responsabili dopo un periodo fin troppo lungo in cui sembrava che dovessimo occuparci di tutto tranne che delle cose serie. Insomma, fino a ottobre avevamo i tavoli pieni di Berlusconi, bunga-bunga, Repubblica delle puttane, scandali di qua, scandali di là... Poi sono arrivate le rivoluzioni, Monti, lo spread e tutto questo senza preavviso. E allora qualcuno è tornato coi piedi per terra.
Voglio dire che qualcuno ha smesso di spendere più di quello che guadagna, il che è solo un bene, e a farne le spese sono stati i beni che non sono di prima necessità. I regali di Natale, pensatela come volete, ma per me non sono un bene di prima necessità.
Spiazzati gli editori: ma come, proprio adesso che avevamo pronto il nuovo libro di Maurizio Lupi! Ma a chi vuoi che gliene freghi qualcosa di Maurizio Lupi, dice il capo che come sempre ha ragione. Libro in resa dopo due settimane.
E' sintomatico il caso della Parodi. Il primo libro era stato pubblicato da un editore di secondo piano, tiratura bassa, successo inaspettato e panico tra le librerie perché tutti lo volevano e nessuno l'aveva. Stavolta succede il contrario: numeri da guerra sulle prenotazioni e flop storico sulle vendite.
Lo stesso vale per il libro di Aprile che seguiva l'onda del suo fortunato "Terroni". L'avevo capito anch'io che sarebbe finito tutto in resa, e per capirlo io vuol dire che lo sapevano proprio tutti. Per non parlare di Rampini: la sua scorta giace nel sottoscala, vicino a quella di Vespa, in attesa di tornare da dove è venuta.
Detto così sembra uno scherzo, una cosa da poco, e in effetti per una grande libreria il danno è relativo dato che in qualche modo riuscirà a scaricare il peso dell'errore sull'editore (bisogna ricordare che certe quantità vengono prenotate dalla libreria su proposta dell'editore, dunque è anche giusto che l'editore si assuma la responsabilità di come vanno le cose). Ma per le piccole librerie temo che questo Natale sarà un bagno di sangue, per usare un'espressione molto cara a un mio collega.
La legge sugli sconti, come previsto, non ha cambiato molto le cose. Il prezzo dei libri è rimasto stabile anche perché la concorrenza con l'ebook non esiste ancora; su internet è tutto scontato al 15%, le campagne in libreria fioccano (a proposito: saranno contenti tutti quelli che hanno acquistato il Paolini a prezzo pieno di sapere che a gennaio ci sarà una campagna con un taglio del 25%) e le piccole librerie mi pare non godano di miglior salute rispetto a prima. I risultati concreti e indiscutibili mi sembrano due: 1) il cliente paga un po' di più il libro; 2) conviene comprare su internet. Per una legge sostenuta dall'ALI (Associazione Librai Italiani) non mi pare un granché.

giovedì 17 novembre 2011

Un po' di arte in libreria

Avete mai avuto l'impressione di aver visto un libro su un certo tavolo e poi, improvvisamente e senza apparente motivo, trovarlo da tutt'altra parte? A me capita di frequente, grazie ai miei colleghi e soprattutto al capo. Qualche giorno fa però mi sono accorto che era successa una cosa ancora più strana: il libro che cercavo era effettivamente al suo posto, ma non era il libro che cercavo. Cioè, pensavo fosse quello, invece era un altro. Io cercavo questo:


ma quando mi sono diretto sicuro sul tavolo di storia non ho trovato la novità Mondadori e al suo posto c'era invece una novità Bollati e Boringhieri, questa:


Prima reazione: non è possibile. Con tutto quello che c'è da mettere in copertina questi due (mi riferisco ai grafici delle case editrici - io parlo spesso con i grafici, quando non trovo un libro), questi due, dicevo, sono riusciti a mettere la stessa cosa. Per un libraio la copertina è fondamentale, al pari della "costa" del libro, e sarebbe auspicabile che 1) i libri di case editrici diverse avessero copertine diverse e 2) i libri con la copertina blu non avessero la costa rossa o gialla. Ma lasciamo stare il discorso delle coste e torniamo alle copertine.
Il vero problema è che nessuno ha avuto un idea molto originale visto che non più di un anno fa era uscito un libro da Mimesis, questo:

che mi aveva colpito, oltre che per il contenuto, proprio per la copertina. Casualmente giusto pochi mesi prima ero stato a Berlino ed avevo visto l'opera raffigurata, così era normale che fossi incuriosito dal libro (a volte basta così poco...) e lo notassi in mezzo al mare di novità prenatalizie. Ora, visto che l'immagine mi viene riproposta in modo così insistente, ho deciso di smettere i panni del libraio e per un po' rimettermi quelli del professore. Quindi ragazzi seduti, che si comincia.
L'opera si intitola Shalechet (parola ebraica che significa "foglie cadute") ed è un'installazione permanente che si trova a Berlino nel Judisches Museum. Realizzata tra il 1997 e il 2001 (anno di inaugurazione del museo) dall'artista israeliano Menashe Kadishman (1932) è costituita da oltre 10.000 dischi di metallo dalla forma irregolare e forgiati in modo da assumere l'aspetto di un volto urlante, collocati in modo disordinato sul pavimento di uno degli spazi vuoti del museo.

Il visitatore è invitato a percorrere questo corridoio che non conduce da nessuna parte, essendo solo uno spazio che si incunea tra due ali del museo.
L'impatto visivo con questa distesa di volti urlanti è impressionante al punto che molte persone si rifiutano di "entrare", si fermano sul limite, osservano e ascoltano. Chi decide di percorrere lo spazio che lo separa dal fondo buio del corridoio, un buio che ha sicuramente un significato simbolico, deve prima di tutto vincere la resistenza a calpestare un oggetto che, seppur inanimato, rappresenta comunque una forma umana. Ci si trova nella condizione del persecutore, o dell'indifferente, di chi sapendo ha continuato la sua strada.

Lo spazio amplifica il rumore dei passi sul metallo e bastano pochi visitatori per creare l'inquietante sensazione di trovarsi in una fucina, o una fabbrica. Il pensiero immediatamente corre a quegli ebrei che sono stati utilizzati come forza lavoro nelle fabbriche tedesche.
Bisogna fare attenzione perché si cammina su una superficie irregolare a causa dello spessore dei dischi; si guarda dove si mettono i piedi e viene spontaneo cercare di evitare qualcuno di questi volti ma è impossibile. Si cammina lentamente e il corridoio sembra non finire mai. Al culmine di questo viaggio si viene colti da un senso di pietà che non è "dovuta", che non nasce dalla riflessione ma che deriva direttamente dall'esperienza in cui quest'opera d'arte ci immerge.
Secondo Arturo Schwartz si possono riconoscere almeno due ascendenti. Il titolo richiama la nota poesia di Ungaretti:
SOLDATI
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
mentre i volti stilizzati sono forse un ricordo dell'urlo più famoso della storia dell'arte.

© Nasjonalmuseet / Munch-museet / Munch-Ellingsen-gruppen / BONO 2010. Foto: Jacques Lathion / Nasjonalmuseet
Sono solo due delle possibili suggestioni che l'artista ha rielaborato per creare quest'opera indimenticabile, un'opera aperta che "dice" poco e lascia al fruitore lo spazio della riflessione. Le molteplici interpretazioni che se ne possono dare non fanno che arricchirla di nuovi significati. L'andare verso il buio ad esempio, che ho già suggerito essere un percorso simbolico, a me ha ricordato Canova.


Quando sento dire che l'arte contemporanea "non si capisce" penso ad opere come questa di Berlino e mi abbandono al pessimismo.

venerdì 4 novembre 2011

Il post precedente ha ricevuto un paio di commenti che sono arrivati al cuore del problema: i lettori sanno benissimo cosa vogliono. Un tempo, e parlo di un secolo fa, il libraio poteva dire di essere il tramite fra lo scrittore e i lettori; se un libraio di una grande città si impegnava poteva fare la fortuna di un giovane autore e allo stesso tempo poteva suggerire agli editori le opere che, se pubblicate, avrebbero incontrato il favore del pubblico. Oggi il ruolo del libraio qual'è? I lettori entrano in libreria già perfettamente informati su ciò che vogliono (amnesie a parte) grazie a giornali, televisione, blog e persino cartelloni pubblicitari. Sì, lo so che è tutto marketing ma tant'è, la gente vuole quello e a volte quello che vuole non è nemmeno male. A questo punto noi non facciamo altro che prendere il libro, magari dal tavolo sistemato all'ingresso, e imbustarlo. Nella filiera del libro, scandalosamente lunga, siamo diventati uno degli anelli deboli, assieme agli agenti (loro sì in via di estinzione) e persino agli editori. Oggi non solo gli editori possono fare a meno delle librerie grazie alla vendita diretta su internet, ma persino un autore può tranquillamente pubblicarsi e vendere il suo libro senza bisogno di nessun intermediario tra lui e il pubblico. E con l'ebook sarà ancora più facile. Dunque perché stupirsi se la figura del libraio ha perso quel bagaglio di competenze che un tempo erano la sua prerogativa?
E' difficile valutare ora l'impatto che avrà la legge sugli sconti per il futuro delle librerie. Io posso dirvi quello che sta succedendo adesso. Sui siti di vendita on line c'è uno sconto fisso al 15%, su tutto. In libreria le campagne si rincorrono, si sovrappongono e creano una confusione imbarazzante persino a noi, figuriamoci ai clienti. Che oltretutto ormai considerano lo sconto come un atto dovuto. Ora, che io sappia in Italia, a parte il libro, l'unico prodotto che arriva in negozio con il prezzo stampato sulla confezione, e quindi fissato all'origine, è il medicinale. Qualcuno ha mai provato ad andare in farmacia a chiedere uno sconto? Ultima trovata: la campagna su un singolo titolo. Siamo al limite della legge: la novità viene venduta, per un periodo limitato di tempo, con uno sconto superiore al 15%. Gli sconti escono dalla porta, rientrano dalla finestra. E' stato fatto con il nuovo di Carofiglio ma non so se l'idea prenderà piede. Qualcuno dice che alla lunga il prezzo di copertina dovrà diminuire. Io non ho mai visto diminuire niente in vita mia, a parte i miei capelli. Staremo a vedere.

martedì 1 novembre 2011

Gli sconti non sono tutto. Servono i buoni librai

Circa un mese fa Romano Montroni ha pubblicato un articolo su Repubblica a proposito della cosiddetta legge Levi, quella sugli sconti, detta anche legge anti-Amazon per il suo palese ed unico obiettivo: mettere un freno alla conquista del colosso americano di una bella fetta del mercato italiano. Una legge "contra aziendam" su cui nessuno ha avuto da ridire.
Il libraio è un po' contraddittorio nei confronti della legge: quando si presenta un cliente a chiedere lo sconto assume l'espressione affranta di chi vorrebbe quasi regalare il libro se potesse, ma questa legge che lui è costretto a subire gli impedisce ogni slancio di generosità; quando invece ne parla fuori dal negozio (tra le gente, sui giornali, sui blog) allora benedice la legge come unica difesa dell'esistenza stessa delle librerie.
L'articolo di Montroni è molto piaciuto ai miei colleghi perché non approfondisce il problema e si limita a fare l'apologia della figura del libraio. In sostanza dice: oggi i libri non si vendono perché al posto dei librai di una volta (e Montroni è uno che sa di cosa parla) ci sono solo giovani commessi ignari di che cosa sia il mestiere (naturalmente parla di me). Non sono gli sconti ad attrarre il pubblico, a far vendere un libro; quello che serve è un libraio competente, capace di consigliare e di creare attorno a sé un ambiente adatto alla circolazione di idee. La libreria deve tornare ad essere terreno fertile su cui coltivare cultura. L'ultima metafora è mia, ma tanto gira e rigira il concetto è sempre quello. E' come se i cosiddetti "vecchi librai" avessero messo un disco che va in loop.
Il problema è che Montroni, come la Valeri, non è bugiardo, ma reticente. Cosa intende quando parla del mestiere? Perché non dice che il mestiere del libraio è prima di tutto un fatto di commercio, il che significa vendere i libri, belli o brutti che siano? In realtà, per come la vedo io, Montroni sta dicendo: se non si vendono i libri è perché non ci sono persone capaci di convincere i clienti a comprarli. E in questo ha ragione. Se non si riporta il ragionamento coi piedi per terra, se non si smette di parlare di cultura ogni volta che esce un romanzo, se non la si smette con la storia che il-libro-non-è-una-merce-come-un'altra, non si capiranno mai certe dinamiche che invece a me sembrano chiarissime e che si riducono a un concetto semplice: il mestiere del libraio è vendere. L'orizzonte del libraio è la vendita, non la lettura. Che poi certi clienti vogliano sentirsi parte di un cenacolo di eletti e per questo vogliano un libraio alla loro altezza, questo è un altro discorso.
A questo punto mi viene in mente l'aneddoto riferito al momento in cui Steve Jobs tornò in Apple da salvatore della patria dopo esserne stato allontanato. Alla domanda sul perché i prodotti della Apple in quel momento non avessero successo Jobs rispose lapidario: perché fate prodotti di merda. Ecco, io penso che se la gente non compra il prodotto "libro" il motivo è sostanzialmente lo stesso. Quindi né sconti né bravi librai, semplicemente buoni libri. E forse qualche editore dovrebbe farsi un esame di coscienza.

giovedì 6 ottobre 2011

L'occasione fa l'uomo ladro

Ieri mi hanno rubato un libro. Ma partiamo dall'inizio.
Venerdì scorso sono stato licenziato, nel senso che mi è stata data licenza di andarmene o, se si preferisce, è stato posto termine unilateralmente al mio rapporto di lavoro (definizioni del Garzanti per "licenziare"). Dico subito che non ho avuto un grande ruolo in questa vicenda e non me la sento di millantare meriti non miei. In realtà nessuno ha di che vantarsi, semplicemente il mio contratto a tempo determinato è arrivato alla sua scadenza naturale e nessuno ha fatto nulla per far sì che venisse rinnovato.
L'azienda per prima si è ben guardata dal farlo. Dopo due anni di contratto un rinnovo avrebbe significato 1) passaggio di categoria con conseguente aumento di stipendio e 2) trasformazione automatica del rapporto di lavoro da determinato a indeterminato. Non so quale delle due cose spaventasse di più l'azienda, forse la prima, fatto sta che martedì sono salito dal direttore e ho firmato la lettera di "licenziamento". Ma subito dopo ho firmato un contratto che mi impegna a lavorare per questa stessa azienda per un altro anno, alle stesse miserabili condizioni. Non subito però. Fra venti giorni.
In termini aziendali si chiama "periodo di interruzione", "sospensione", "vacanze forzate". Tra di noi la definizione più divertente è "stop & go". In termini tecnici credo si possa definire "porcata". Io la chiamo disoccupazione. Tutti i nuovi assunti devono sottostare a questa trafila, nessuno dice niente e si va avanti così. Ma ora in piedi, entra la legge (D-lgs. 368/2001):
Art. 4.
Disciplina della proroga

1. Il termine del contratto a tempo determinato puo' essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga e' ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attivita' lavorativa per la quale il contratto e' stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potra' essere superiore ai tre anni.
[...]

Art. 5.
Scadenza del termine e sanzioni Successione dei contratti

1. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro e' tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore.
2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
3. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.
4. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuita', il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

E' vero, la legge non dice esplicitamente che se lasci a casa per venti giorni e poi riassumi la stessa persona stai facendo qualcosa di sanzionabile, anzi diciamola tutta, la legge ti spiega proprio come devi fare per aggirarla. Eppure secondo me dovrebbe essere evidente: la legge è fatta perché queste cose non si facciano e dire che la legge "permette" o peggio ancora "ci obbliga", come mi è toccato sentire, è una pura e semplice stronzata.
Così me ne sono tornato a casa con la mia lettera di "licenziamento" e il mio contratto, e intanto pensavo che è proprio vero che l'occasione fa l'uomo ladro.
A questo punto penso: disoccupato per disoccupato, almeno me la godo! E mi organizzo subito un viaggetto in treno a Venezia, destinazione Scuola Grande di San Rocco e Gallerie dell'Accademia, due lacune che pesano come macigni sul mio curriculum di aspirante insegnante di Storia dell'arte.
Naturalmente scelgo un giorno feriale, alla faccia di chi lavora. Viaggio in un vagone quasi vuoto. Per il viaggio mi porto un libro che è un po' che volevo leggere, "Il sistema degli oggetti" di Baudrillard. Mi pento amaramente della scelta. Leggo una trentina di pagine e sono fortemente tentato di lasciarlo perdere.
Decido di fare una pausa, e vado in bagno. Andare in bagno quando si è in treno è una delle regole fondamentali del bravo viaggiatore, in caso contrario si rischia, appena scesi, di dover trovare un bar, bersi un caffé controvoglia e tutto solo per fare una pisciatina. Invece Trenitalia, almeno per quanto riguarda i bagni, è un'eccellenza e bisogna valorizzarla.
Quando torno scopro che mi hanno rubato il libro che era rimasto appoggiato sul sedile. Due file dietro me un tizio si accorge del mio disappunto e mi spiega: mah, è passato uno, ha preso il libro e se n'è andato.
Ma chi diavolo può pensare di rischiare così tanto per guadagnare così poco? Un tascabile Bompiani per giunta in offerta, roba da sei/sette euro. E poi: Baudrillard! Mi avessero fregato un panino, avrei pensato che era qualche disgraziato che aveva fame. Lo stesso dicasi del portafogli. Ma un libro di Baudrillard, ma chi può essere così stupido?
Così sono sceso in stazione pensando che è proprio vero che l'occasione fa l'uomo ladro.

giovedì 29 settembre 2011

Quando la televisione fa cultura

Telefonata di qualche tempo fa, tardo pomeriggio, l'ora in cui il massimo della cortesia è alzare la cornetta per rispondere.
- Proonto?
Minchia, di Palemmo è.
- Seenta potrebbe controllare se per caso avete in casa questi libri?
Sorvolo sul fatto che il negozio non è una casa, o almeno non per me.
- Certo; mi dica i titoli.
- Il primo è di Montanelli.
Bene. Chiedo il titolo e questo mi risponde con l'autore. Significa che tra un attimo mi darà un titolo sbagliato di un libro fuori catalogo, penso. E invece no.
- Il titolo è: "Che fine ha fatto l'io".
- "Che fine ha fatto l'io" è di Boncinelli.
- Sì, sì, Montanelli, quel giornalista che aveva quel giornale che poi è diventato della famiglia Berlusconi...
Ma che, Radio Popolare si sente anche a Palermo?
- No guardi, ci deve essere un equivoco: "Che fine ha fatto l'io" è di Boncinelli, non di Montanelli.
- Strano, l'ho appena sentito da Augias...
- Avrà capito male.
- Strano... provi a vedere se trova questo:"La vita inaspettata".
- Quello di Pievani?
- Sì. È una raccolta di articoli su Berlusconi.
- No, guardi, Berlusconi non c'entra niente.
- Strano perché Augias...
- Senta, Augias riuscirebbe a parlare di Berlusconi anche recensendo "Cappuccetto Rosso" ma le garantisco che nessuno dei libri che lei mi ha chiesto parla di Berlusc...
- Ma i libri ce li ha?
- Sì.
- Allora mando un mio amico a prenderli.
- Li metto da parte a suo nome?
- No perché non so se viene da voi o va da qualcun altro.
- Giusto.
- Grazie e mi scusi del disturbo.
- Si figuri, nessun disturbo. Arrivederci.

sabato 27 agosto 2011

Se vi interessa l'argomento

Lunedì torno al lavoro dopo tre settimane di ferie, cioè tre settimane senza (quasi) accendere il computer. Ovvio che non sia ancora riuscito a finire un post su una cosa a cui tengo molto e che ho iniziato prima delle ferie. Quindi adesso lo pubblico così com'è, sperando di non dovermene pentire.
* * *
Non ho mai messo la lista dei blog che seguo o leggo saltuariamente perché non volevo entrare nel tunnel dei favori: io linko te, tu linki me, aumentano le visite di entrambi, il mio blog sale da pagina 14 di Google a pagina 13... E' una cosa che non mi interessa. Io faccio il mio blog, bello o brutto che sia, e il numero di visite fa piacere se aumenta ma non è quello che conta. A questo proposito sto anche pensando di togliere i banner pubblicitari, che tanto non c'è mai stato uno che ci abbia cliccato sopra e non vedo perché dovrei continuare a far pubblicità gratis a gente che nemmeno conosco.
Detto questo devo dire che col passare del tempo ho iniziato a cercare in rete dei blog simili al mio e ne ho scoperti alcuni che mi piacciono molto e che mi farebbe piacere che quei pochi che leggono ogni tanto queste memorie andassero a vedere almeno una volta. Così magari perdo anche quei quattro lettori che ho!
Voglio però partire segnalando due blog di due persone che sono state così gentili da registrarsi. La prima è Giò, che fa un blog di moda in cui si trovano una quantità di immagini a tema. L'altra blogger è quella che qui di fianco si presenta con occhiali e treccine e vi dico solo l'ultima che ha fatto: ha attraversato lo stretto di Messina a nuoto.
Ed ora veniamo ai colleghi. Il migliore in assoluto, un vero genio a mio parere, è L'apprendista libraio. Ha uno stile che mi piace tantissimo: si limita a riportare i dialoghi fra cliente e libraio, quasi sempre senza commentarli, e riesce in questo modo a ricreare perfettamente il senso di impotenza che ci prende (a noi librai) quando ci troviamo davanti certa gente. Ma la cosa tragica è che tutte le situazioni che descrive, se non sono vere al 100% (perché dai, non è possibile che succedano tutte a lui!), sono comunque assolutamente credibili, e lo dico per esperienza.
Altro blog che ho scoperto da poco e che ho iniziato a seguire è Sempre un po' a disagio, curato in coppia da un libraio e un insegnante. Scrivono post molto intelligenti ma a volte veramente lunghi e continuo a domandarmi dove trovino il tempo. E poi scrivono benissimo.
Infine ci metto questo. E' il blog di una collega che mi pare non sia molto soddisfatta del suo lavoro, o meglio di com'è adesso il suo lavoro. Forse è il posto in cui si trovano le riflessioni più interessanti su quello che è adesso il mestiere del libraio: c'è esperienza, c'è passione e c'è anche una buona dose di disincanto.
Per qualche strano motivo non sono questi colleghi a finire sui tavoli delle librerie con le loro esperienze (salvo l'apprendista libraio, che però mi pare pubblichi romanzi), bensì questi. Mi sbaglierò, ma io non credo a una parola di quello che sta scritto in questo blog. Secondo me sono tutte cose pensate a tavolino e pubblicate, e il blog serve solo come pubblicità.

giovedì 28 luglio 2011

Amy Winehouse

Quando ho saputo della morte di Amy Winehouse la prima cosa che ho pensato è stata: ha avuto quello che voleva. Poi, spaventato da tanto cinismo, ho riformulato: se l'è proprio andata a cercare. Ancora insoddisfatto mi sono sistemato su un definitivo: non poteva andare che così, confortato in questo anche dalle dichiarazioni della madre che comunque, quanto a cinismo, non ha niente da imparare.
La seconda cosa che ho pensato è stata: adesso si scateneranno gli editori, e non ho sbagliato. Il giorno dopo, il più solerte dei rappresentanti ha chiamato per proporre un rifornimento urgente della biografia della Tsunami e poche ore dopo non so più chi voleva farci prenotare un camion di copie di un libro su di lei che deve uscire. Io sarò cinico ma gli editori sono sciacalli. E il capo, che ha risposto all'ultima proposta che "questa qui non si è mai venduta da viva, figuriamoci da morta" dimostra ancora una volta di che materia è fatto il nostro lavoro.

domenica 26 giugno 2011

Regola N.1: "Mai dare consigli"

Certo, nell'immaginario collettivo il libraio è proprio quello che dà consigli, una specie di guru del tempo libero. Tu entri in libreria e ti trovi un arzillo vecchietto che ti racconta di quando tra i suoi scaffali si incontravano il professor Pincopallino ed il noto scrittore Taldeitali, i tempi della vecchia borghesia illuminata. E così, tra un ricordo malinconico ed un giudizio pungente sugli scrittori di oggi, prima di uscire, il vecchio libraio tira fuori da qualche parte un libro molto più vecchio di lui e te lo consegna: un libro che ha tenuto da parte per una persona speciale...
Cazzate.
Questo libraio non esiste, questa libreria non esiste, questo cliente non esiste e se il cliente sei tu mi dispiace tanto ma non esisti nemmeno tu.
Una volta ho dato un consiglio e la sceneggiata che ne è seguita la ricordo ancora adesso, quindi io con i consigli ho chiuso.
Una nonnina voleva un libro per la nipotina di dodici anni: "Vorrei un bel libro, sa, come 'Il giardino segreto', 'Pattini d'argento'..." e io che non ho mai letto i classici (tutto quello che mi serve l'ho imparato leggendo 'Topolino') ho pensato: se la nonnina si presenta con questi libri alla nipote dodicenne di oggi non oso pensare a quello che potrebbe succedere, si leggono certe cose sui giornali... ora le do un bel libro moderno, così le faccio guadagnare un po' di punti.
Non avendo mai letto nemmeno i libri moderni per ragazzi ho usato l'unico criterio che avevo a disposizione: un libro che si vende! Mi guardo attorno ma non ci vuole molto. "Ecco nonnina prenda questo: Quattro amiche e un paio di jeans, vedrà come sarà contenta sua nipote". In effetti la nipote non ebbe di che lamentarsi. Fu il padre, sembra, a non aver gradito certi riferimenti espliciti ad un certo modo di intendere i rapporti con l'altro sesso (non mi sono mai preso la briga di verificarne l'inadeguatezza). Il padre deve aver rinfacciato la cosa alla suocera e quest'ultima, invece di venire da me, pensò bene di andare dal mio capo. Cazziatone epocale e pietra sopra ai consigli.
Che poi, diciamo la verità, più nessuno chiede consigli al libraio: si va su internet, si leggono i blog, si guarda la tele... a cosa servono i consigli? Tutti sanno quello che vogliono: ho letto ieri su Repubblica una recensione... non l'ha letta? Ma come: era ieri su Repubblica! Ah, lei non legge Repubblica? Dovrebbe leggere Repubblica, ci sono sempre tante recensioni, ci scrive anche Augias...
Per un certo periodo ho provato anche un'altra tecnica: ridurre la scelta a due libri e lasciar decidere il cliente. Io faccio la selezione, il cliente decide. Mi sembrava un buon compromesso. Mi sono immediatamente reso conto che il cliente preferisce uscire senza libro piuttosto che decidere. Viene assalito dai dubbi più assurdi, come quei gatti che sono in mezzo alla strada e non sapendo da che parte scappare si fanno spiaccicare dalle macchine.
Alla fine ho deciso: basta consigli.
- Scusi avrebbe da consigliarmi...
- Prenda questo, piace a Augias, piacerà anche a lei. Buona giornata.

giovedì 23 giugno 2011

Entra un cliente con in mano un foglietto spiegazzato. Scritti a matita in un corsivo illeggibile erano scritti su questo foglio il titolo e l'autore di un libro ma il sudore della mano del latore del foglietto hanno irrimediabilmente cancellato anche quel poco che c'era da leggere. Inizia l'interrogatorio. Titolo e autore, faticosamente ricostruiti dal cliente, non dicono niente al gestionale. Provo a buttare tutto in Google, che ormai ho capito essere il modo più rapido per sistemare le informazioni sbagliate dei clienti (in fondo è così che la maggior parte di loro trova i titoli che poi mi viene a chiedere); ma anche Google non trova niente.
- E' un libro vecchio?
- No, è appena stato pubblicato in Inghilterra.
- Ma il titolo che mi ha dato è in italiano!
- Sì.
- Mm...
- Il titolo in originale era in inglese...
- ...e lei lo ha tradotto?
- Sì.
Bravo. Adesso che hai dimostrato di saper tradurre il titolo di un libro fammi un favore, dimmi il titolo in inglese, dimmelo giusto, scandisci bene le parole, non farmi fare figure e... ah già, mi hai dato l'autore, almeno quello sarà giusto...
- Guardi, probabilmente il libro che cerca non è ancora stato tradotto. Posso recuperarglielo in inglese. Può farmi lo spelling dell'autore?
Nel frattempo apro il database inglese. Digito. Non faccio in tempo a leggere il risultato che il cliente mi gela con una domanda:
- Ma allora il libro che arriva è scritto in inglese?
Alzo lo sguardo. Lo fisso. Annuisco.
- Non c'è per caso la possibilità di farlo arrivare in italiano? Perché in inglese è un casino...

martedì 14 giugno 2011

Il mio referendum

Avevo già iniziato a scrivere un post politico in cui dicevo la mia sul referendum.
Tanto per cominciare avevo fatto la mia dichiarazione di voto (due no e due sì, perché credo che il pubblico debba gestire solo quello che non riesce a gestire il privato, e non il contrario); poi avrei voluto fare alcune considerazioni in ordine sparso sotto forma di domande.
Perché, ad esempio, si è puntato tutto sull'idea dell'acqua come bene comune quando era in discussione la gestione del servizio e non la proprietà? E perché l'acqua, bene comune se si tratta di vincere un referendum, diventa né più né meno che una medicina se si tratta di somministrarla a un malato? Quando ci chiameranno, perché lo faranno di sicuro, a votare su questo argomento, ci sarà qualcuno che si ricorderà dei discorsi che facciamo oggi?
Dove sono quelli che un po' di tempo fa avevano chiesto l'election day perché pensavano che separare amministrative e referendum fosse un modo per boicottare questi ultimi? La gente ha dimostrato che se vuole va a votare anche tre volte in un mese e soprattutto dovrebbe essere chiaro che quando un referendum non raggiunge il quorum è semplicemente perché la gente ha deciso, deciso, capito? deciso di non votare. E alla luce di questo, che come direbbe Travaglio, è un fatto, possiamo per favore rivedere i giudizi dati e le analisi fatte sul voto, ad esempio, al referendum sulla procreazione assistita? E quelli che si lamentavano perché non c'era abbastanza informazione, che dicevano che la gente non sapeva nemmeno di dover votare... adesso come si giustificano?
E poi cosa mi rappresenta l'Azione Cattolica che si schiera a favore dei referendum sull'acqua? E perché da un po' di tempo a questa parte non sento più parlare di "ingerenza" della Chiesa negli affari italiani? Nemmeno i radicali si sono lamentati quando hanno saputo che i preti invitavano a votare "sì": i radicali sono diventati clericali?
Insomma avevo in mente di dire queste quattro cose.
Poi sono tornato a casa, ho acceso la televisione e ho visto Scalfari intervistato dalla Gruber. Scalfari. Per me rimarrà sempre un mistero il motivo per cui un giornalista, da un certo momento in avanti, diventa un intellettuale senza aver fatto altro che articoli sui giornali. Voglio dire: cosa capisce Scalfari di quello che gli succede intorno? Io lo ascolto e fatico a capire quello che dice, e quel poco che capisco non sono altro che battute, frasi a effetto e, nel migliore dei casi, banalità. Niente per cui mi sembri necessario dargli lo spazio che ha in televisione. Poi, all'improvviso, tutto si chiarisce. Con un pretesto madornale Scalfari riesce a citare il suo libro ed immediatamente la regia manda la copertina: è tutta una colossale marchetta!
Il referendum è stato fatto per dare la possibilità a Scalfari, e a quelli come lui, di andare in televisione a pubblicizzare i loro libri. Tutto il resto non conta niente.

mercoledì 1 giugno 2011

Un viaggio a Roma

Sei a Roma, hai tempo da perdere, passi davanti a una libreria e cosa fai, non entri? Se poi di questa libreria hai sentito parlare come di una delle più belle d'Italia...
In effetti la MEL Bookstore colpisce il cliente principalmente per lo spazio interno, o come dicono gli esperti, per il layout: sembra di entrare nell'atrio di un palazzo barocco ma con qualcosa di molto moderno. Il bianco prevale, l'impianto generale appare subito chiaro: al piano terra i libri, ordinati in scaffali ed espositori che ricordano quelli delle vecchie Feltrinelli, al primo piano il bar, che si affaccia sul piano terra creando un unico grande ambiente. Veniamo ai libri. La MEL è una grossa libreria e c'è quello che ci si aspetta di trovare: novità impilate, editori di consumo, cd musicali, dvd, etc. La sorpresa è al piano sotterraneo, dove l'atmosfera cambia e ci si ritrova in una libreria scolastica vera e propria, con libri usati e bancone a dividere lo spazio dei clienti dal magazzino. Due facce della stessa medaglia che riescono a convivere. Certo che da qui a definirla una delle più belle d'Italia... Probabilmente fa grandi incassi, e questo al giorno d'oggi è molto, molto bello.
Passeggiando dalle parti del Pantheon entro in una piccola libreria, piccola e, questa sì, bellissima, probabilmente un capolavoro dal punto di vista dell'allestimento e giustamente molto difficile da descrivere. Si chiama "Amore e Psiche". La sala principale è abbastanza alta, con scaffalature in legno che arrivano fino al soffitto. Al centro della stanza c'è una struttura in metallo che sostiene una scala fatta solo di gradini in legno. Avendo poco spazio viene da pensare ad una piccola scala ripida, invece questa è l'opposto: una piccola scala molto lunga, che quasi attraversa tutta la sala principale. Al termine della scala, a non più di due metri di altezza, ci sono quattro strette passerelle che danno accesso agli scaffali più in alto. Le passerelle sono fatte con doghe in legno distanziate fra loro fissate a barre di metallo: la luce filtra attraverso le doghe e si crea una piacevole penombra. I gradini vengono usati anche per esporre libri. In un angolo un pianoforte viene usato per esporre libri di musica. L'impressione è quella di un ambiente veramente accogliente, caldo e, nonostante lo spazio disarticolato, molto ordinato.
Ma i libri? La mia impressione è che ci sia una bassissima densità per metro quadro, il che significa avere i libri esposti di faccia, gli scaffali mezzi vuoti e tutte le difficoltà di chi, con poco spazio, si permette anche di avere pochi libri, anche se accuratamente selezionati. Per fare un esempio: un intero scaffale è riempito con un solo titolo, "Il pensiero nuovo", che poi scopro essere stato scritto da uno dei proprietari. Insomma, non mi tornano i conti. Forse c'è qualche mecenate che sostiene le spese; comunque una libreria così, se la aprissi io, chiuderebbe nel giro di un paio d'anni.
Completamente diversa la libreria "Altroquando", eppure a suo modo ben costruita. Qui l'elemento caratterizzante è una parete piazzata al centro della sala, elemento che a prima vista scoraggerebbe chiunque di buon senso dall'aprire una libreria. Non sto parlando di una parete normale ma di qualcosa di simile ad un muro romano, spesso forse due o tre metri, insomma qualcosa che non passa inosservato. Ebbene proprio al centro di questo muro è stato aperto un arco, come il fornice di un arco di trionfo, e proprio lì dentro è stato sistemato il banco informazioni con la cassa. Quando si dice saper sfruttare gli spazi (escludo a priori che qualcuno possa progettare volutamente un elemento così ingombrante). Il resto dell'allestimento è abbastanza tradizionale, se non ricordo male. La musica di sottofondo è molto bella ma un po' troppo invadente, penso, finché non capisco che si tratta di musica dal vivo che proviene dal piano interrato. Mi astengo dallo scendere, dato che ho ben chiaro che non acquisterò alcun libro, ma mi rendo conto che deve esserci un piano dedicato alla musica e, probabilmente, alla birra. Sembra proprio che anche da noi ormai si stia facendo largo il modello che associa il libro alla ristorazione.
Quanto ai libri, anche qui non si può dire che ci sia un grande affollamento. Ci sono in prevalenza libri di cucina, spettacolo, fumetti; qualche piccolo editore affiancato a qualche collana di richiamo... Nel complesso si punta al pubblico giovane ma pur sempre selezionato, non certo agli studenti o alle casalinghe. Mi domando sempre se queste librerie facciano i soldi, se li fanno, vendendo libri o servendo birra.
Compro un solo libro, e lo faccio in una topaia dalle parti di palazzo Farnese, "La grotta del libro", un buco stipato di libri usati, vecchi, polverosi e quasi tutti malmessi, libri a cui un pazzo ha deciso di dare un'ultima possibilità di vita rimettendoli in circolo. Per chi si occupa quotidianamente dello smercio di novità effimere trovare posti come questo è come entrare in un museo, come assistere ad uno scavo archeologico. Trovi libri che non vedevi più da un pezzo e ti viene anche un po' di nostalgia. E compri un libro non per il contenuto ma per la storia che si porta dietro.

mercoledì 25 maggio 2011

Susan Sontag
Davanti al dolore degli altri
Mondadori 2006

Susan Sontag, "Davanti al dolore degli altri", Mondadori 2006

In questi giorni si parla molto di una certa fotografia che dovrebbe raffigurare un morto e che in molti vorrebbero vedere. Il libro di Susan Sontag parla anche di questo, del desiderio di vedere rappresentata la morte anche quando si presenta sotto forma di immagini raccapriccianti.
Ma soprattutto "Davanti al dolore degli altri" è un'analisi sul modo in cui l'osservatore recepisce l'immagine fotografica. Può ad esempio un'immagine che rappresenta una scena di guerra suscitare in chi la guarda un sentimento di sdegno che si traduca, anche a livello politico, nel ripudio della guerra stessa? In altre parole può l'arte entrare nella vita?
L'autrice sembra piuttosto scettica. Intervengono una serie di fattori che influenzano e in parte attenuano la forza comunicativa delle immagini. Uno di questi è la cosiddetta "artisticità" dell'immagine, espressione che non significa solo "esteticamente piacevole" ma va interpretata meglio come "artefazione", cioè immagine costruita secondo i canoni artistici. Molte delle più famose fotografie di guerra sono frutto dell'intervento del fotografo e dal punto di vista della storia della fotografia conoscere i dettagli di questo intervento ci permette di valutare la bravura del fotografo. Ma cosa cambia, nella mente dell'osservatore, la consapevolezza che il testimone ha modificato la scena per farla diventare più "memorabile"? E chi, tra il fotografo e la macchina, è il vero testimone?
Questo è solo un esempio. È un libro breve da leggere in molto tempo; bisognerebbe fermarsi a riflettere ad ogni pagina, tanto è ricco di spunti.
Se il libro ha un difetto è quello di non avere un apparato iconografico.

giovedì 5 maggio 2011

Libri sui test INVALSI introvabili? Ecco la soluzione!

Nonostante sia passato già un po' di tempo da quando è stato pubblicato, il post relativo ai test INVALSI risulta ancora oggi uno dei più letti, e non è difficile immaginare perché. Posso confessare candidamente che l'intera operazione è stata studiata a tavolino: interrogato con due semplici parole, "libri" e "invalsi", l'oracolo Google risponde con 376.000 risultati, ma già a pagina 5 compare il mio post. Sono soddisfazioni.
Tuttavia devo fare ammenda, anche i migliori possono sbagliare. Pensavo che il dramma dei test fosse una questione tutta familiare, da risolversi a casa, come una volta. Il figlio inetto, i genitori schiacciati dalla vergogna, il maestro cattivo e insensibile. Invece la situazione molto più grave.
A quanto pare, e mi è stato confermato da diverse madri sull'orlo di una crisi di pianto, le maestre e persino i professori hanno praticamente smesso di svolgere il loro programma e si stanno concentrando esclusivamente sulla preparazione dei test. Stiamo introducendo anche in Italia quello che viene chiamato "teaching to the test", espressione che non traduco perché non voglio passare per il solito provinciale. Il professor Israel spiega molto meglio di quanto possa fare io tutta la questione dal punto di vista pedagogico. Io posso aggiungere questo: ormai esistono veri e propri libri "adottati" per la preparazione ai test INVALSI; non sono i genitori che comprano questi libri per i figli e dar loro una spintarella, no, sono i professori stessi che li richiedono espressamente e li sostituiscono ai libri di testo normali. Per l'editoria scolastica si tratta di un regalo insperato e che forse ha colto un po' tutti in contropiede. Gli editori scolastici lavorano sulle basse quantità e quando c'è una richiesta improvvisa di un titolo è facile che vada esaurito e se ne perdano le tracce per molto tempo. L'anno prossimo si faranno sicuramente più furbi.
Ma non è solo colpa degli editori. In realtà la maggior parte delle persone ignora (giustamente) che esistono due canali distributivi diversi, uno per i libri "normali" e un altro per i libri scolastici, e due tipi di librerie, quelle "normali" e quelle scolastiche. I libri scolastici si comprano nelle librerie scolastiche. Andare dal proprio libraio di fiducia, per chi ne ha uno, e chiedere un libro scolastico è come andare dal panettiere e chiedere un litro di latte: due cose diverse. Certo, poi per accontentare il cliente si fanno i salti mortali e allora il panettiere si fa lattaio e il libraio fa la campagna scolastica.
Quindi, ricapitolando, se non trovate i libri per i test INVALSI forse è perché avete sbagliato libreria.
- Sì, ma quali sono le librerie scolastiche?
Come hai fatto a trovare questa pagina? Allo stesso modo trovi le librerie scolastiche: Google, librerie scolastiche, nome della città, cerca.

domenica 1 maggio 2011

Non ne avete una copia meno rovinata? Sa, è per un regalo...

Ieri è arrivato un libro ordinato da un cliente:
Forse l'immagine non rende bene l'idea: il libro era in condizioni pietose, c'erano macchie evidenti sulla copertina e la rilegatura della costa era mezza andata. C'erano persino attaccati pezzi di terriccio. Insomma, un libro da non vendere, punto. A me, che già avevo avuto una giornatina che non sto a dire, è venuto il sangue agli occhi pensando alle storie che mi avrebbe fatto il cliente vedendo un libro così. Poi mi sono accorto che dentro il libro c'era questo biglietto:
Ho sollevato delicatamente il libro, l'ho fatto vedere a tutti, colleghi e clienti in negozio e ho deciso che se il cliente che lo ha chiesto, per qualsiasi motivo non lo dovesse ritirare, allora me lo compro io. Questo ormai non è più un libro: è una reliquia.

mercoledì 27 aprile 2011

La metà del mio lavoro consiste nel capire cosa passa nella testa dei miei colleghi, e comportarmi di conseguenza. Io sono uno psicologo e il mio lavoro andrebbe riconosciuto e possibilmente remunerato.
Il capo oggi mi passa vicino mentre sto sistemando un tavolo e senza fermarsi, come se parlasse fra sé, mi dice sommessamente:
- Stai attento...
Stai attento a cosa? Ho tolto un libro di Kung, il teologo più letto dagli intellettuali italiani dopo Mancuso e, per una settimana, dico: una settimana, cerco di dare visibilità a qualcuna delle decine di libri su Giovanni Paolo II che tu, non io, hai avuto la bella idea di ordinare. E non venirmi a dire che li dovevi prendere per forza visto che tu, per forza, non fai nemmeno le ferie. E allora che faccio?
- Tolgo Brosio?
Eh no, Brosio non si può togliere, ne abbiamo una vagonata e lo dobbiamo vendere velocemente...
- Martini? Tanto Pasqua è passata...
- Eh ma sai, Martini è uno che si vende sempre...
E allora fattelo tu sto benedetto tavolo (e mai aggettivo fu più appropriato)!
Poi c'è quell'altro che è appena tornato da tre giorni di ferie ed è incazzato come se lo avesse morso il cane. Ci sono persone nate per lavorare e lui è una di queste. Dato che lui è un libraio e noi siamo degli incapaci la sua assenza rischia di mandare tutto all'aria in ogni momento, questo è quello che pensa mentre è in ferie. E quando torna non fa che trovare lampanti conferme alla sua teoria.
Infine c'è il Capro Espiatorio, uno che già di suo ne combina di tutti i colori e che per questo viene immancabilmente evocato ogni volta che c'è qualcosa che non va, anche quando non c'entra niente. D'altra parte sappiamo tutti che le dinamiche di gruppo hanno regole spietate.
A volte ragionare con i colleghi è quasi più frustrante che farlo con i clienti.

giovedì 21 aprile 2011

In attesa del Primo Maggio

La mia collega vede un libro appena arrivato. Esplode.
- Oh, ma lo sapete che ci sono delle statistiche che dicono che l'editoria religiosa vende più della saggistica normale, no cioè... è una cosa assurda!
Nessuno le risponde. Credo che molti stiano pensando quello che penso io: assurdo è che un editore continui a sfornare montagne di libri che gli tornano regolarmente in resa dopo qualche mese senza capire che qualcosa non va, non che il libro del Papa venda più di Saviano. Ma certe cose sono difficili da accettare.
Detto questo siamo in un momento di delirio totale per via della beatificazione di Giovanni Paolo II. Tra novità e ristampe non c'è più posto nemmeno per tenere le scorte, figuriamoci cosa sta succedendo su quel povero tavolo di religione. Qualche giorno fa ho schedato due libri della Lindau su di lui, usciti lo stesso giorno e per giunta dello stesso autore: ma dico, questo signor nessuno non poteva fare un libro solo un po' più grande? No, due libri, tanto lo spazio è infinito.
Ma la cosa più divertente è che di tutta questa produzione non c'è un titolo che si muova. Mi illudo che i devoti abbiano capito che non è peccato non comprare un libro anche se c'è la foto del Papa in copertina ma so che prima o poi, complice la televisione, la gente finirà per cedere. Quando tutti saranno tornati dalla gita di Pasquetta tutti i soldi che sono stati investiti per questo evento inizieranno a farsi sentire e chi di dovere si metterà a fare qualche bella recensione. Peccato che il protagonista non possa andare da Fazio; quella volta che andò da Vespa fece schizzare le vendite del suo libro.

martedì 5 aprile 2011

Una cosa che mi manda in bestia

Non lo so. Sarà che siamo in periodo di CUD e solo adesso mi rendo conto di quanto il mio stipendio sia vicino alla soglia di povertà; sarà che essendo un lavoratore dipendente pago tutte le tasse fino all'ultima goccia di sangue; sarà che a differenza del popolo delle partite IVA io non "scarico" praticamente niente (mentre loro scaricano anche l'aria che respirano). Non lo so.
Fatto sta che queste cose mi mandano letteralmente in bestia, al punto che ho deciso di usare la gogna mediatica di internet per dare libero sfogo alla mia frustrazione.
In data 31 marzo 2011 sono stato in una rinomata e frequentatissima copisteria della mia città per ritirare delle fotocopie che mi aveva lasciato un'altra persona. Conoscendo la copisteria ed il loro modo di fare quello sarebbe stato l'ultimo posto dove avrei lasciato delle fotocopie da ritirare ma conoscendo anche la persona che mi aveva coinvolto in questo intrallazzo non mi sono stupito più di tanto.
Sono entrato, ho detto ad una delle commesse quello che mi serviva e lei mi ha messo in mano un plico di fotocopie, rilegate con la spirale, e mi ha detto che in totale facevano dodici euro.
Praticamente ci compravo un romanzo tascabile, per dodici euro; e poi dicono che fotocopiare i libri conviene...
Metto nelle mani della commessa i soldi contati, lei mi sorride e mi dice «Arrivederci e grazie». Come arrivederci e grazie: e lo scontrino?
Parentesi: sapevo che ottenere uno scontrino da questa copisteria è impresa assai difficile. Una volta fui costretto a comprare qualcosa che, mi avevano assicurato, mi sarebbe stata rimborsata se avessi presentato lo scontrino. Bene, riuscii ad ottenere solo un foglietto con scritto sopra la cifra spesa ed uno scarabocchio che doveva essere una firma, foglietto che naturalmente venne cestinato da quelli che dovevano rimborsarmi la spesa. Dunque sapevo cosa mi aspettava ma un conto è trattare con un adolescente alle prime armi e un conto è farlo con un lavoratore dipendente, non più giovane, pieno di pregiudizi e in vena di litigare.
- E lo scontrino?
Parlare di corda in casa dell'impiccato. Stessa reazione. E qui, dopo il tempo necessario per capire che no, non stavo scherzando, la commessa rossa in viso mi ha detto, palesemente indispettita:
- Eh, ma allora devo farle pagare l'IVA!
Devi farmi pagare l'IVA, lo so. Questa storia chissà quante volte l'avrò sentita. Non c'è artigiano che non ci provi. Anche il dentista dove andavo da bambino aveva due prezzi, quello con IVA e fattura e quello senza. Tutto normale, se non fosse che alla fine dell'anno il dentista dichiara meno di quello che ho guadagnato io anche se per farmi un'otturazione mi chiede una settimana di stipendio. Lasciamo perdere i dentisti.
Il bello dell'essere lavoratore dipendente è che non hai bisogno di decidere se essere onesto o no. Quindi puoi fare del sano moralismo senza che nessuno ti possa contraddire. Ed io ne approfitto. Il risultato di tutta questa sceneggiata (perché questo è un copione già scritto e si ripete sempre uguale) è stato questo:
Ho preso lo scontrino senza neanche guardarlo perché era già una vittoria non aver ceduto alle lusinghe della commessa. Uno scontrino da questo negozio: fra qualche anno potrò rivenderlo sui mercatini come una rarità e rientrerò ampiamente della spesa. Già ora, quando lo racconto, la gente non ci crede.
Solo una volta arrivato a casa mi sono reso conto di come stessero le cose.
Lo scontrino è stato battuto alle 12.21 di un giovedì, cioè al termine di una mattinata di lavoro normale. Il numero degli scontrini battuti alla cassa è impressionante: otto. Significa che in tutta la mattinata sono stati battuti otto scontrini. Chi lavora in un negozio sa che questo dato vuol dire solo due cose: fallimento o evasione fiscale. E commercialista compiacente, Guardia di Finanza che ha troppo da fare, clienti che hanno il loro tornaconto... e copisterie oneste che faticano ad arrivare a fine mese.
Ecco, mi sono sfogato.

lunedì 28 marzo 2011

Una mente aperta, forse troppo

Oggi si presenta un ragazzo del profondo sud, tutto vestito di nero. Ha modi gentili e l'aria di uno che è fuori posto.
- Scusi, per caso avete l'introduzione alla filosofia dell'amante?
Scrivo così perché voglio rendere partecipi i pochi lettori di questo blog delle difficoltà che si affrontano quando si deve cercare di capire dove finiscono i convenevoli e dove inizia il titolo del libro. Dico fin d'ora che il post di oggi riguarda proprio questa difficoltà. La punteggiatura esiste anche nel parlato ma spesso i primi a non saperlo sono proprio i parlanti.
Sono perplesso. Tanto per cominciare non ho mai sentito un titolo del genere, e un titolo così, credetemi, dovrebbe vendere parecchio; ormai ne ho sentite di tutti i colori: la filosofia di Harry Potter, la filosofia del dottor House, dei Simpson, di Lost... può starci benissimo anche la filosofia dell'amante. Però è strano che non l'abbia mai sentita. E poi quello che proprio non torna è l'associazione tra il titolo e il soggetto, inteso come cliente: non sembra proprio un tipo da filosofia dell'amante. Sarà per un regalo.
Inizio a cercare (a computer, naturalmente). Ipotizzo che il giovane mi abbia dato il titolo esatto, escludo l'articolo iniziale che potrebbe anche non esserci, valuto che se cerco "introduzione alla filosofia" mi escono almeno ottocento titoli e alla fine decido per un bel "introduzione alla filosofia dell'am@", dove la chiocciolina sta per l'asterisco usato in tutti i software del mondo, tranne il mio.
Il primo tentativo va a vuoto. Strano perché il ragazzo sembra anche sveglio; ormai dare il titolo sbagliato al libraio è un modo per passare inosservati, penso. Comunque non ho voglia di perdere altro tempo per trovare un libro simile, dunque soluzione rapida e vigliacca:
- Scusa, sai chi è l'autore?
Il ragazzo non mi delude; autore di questo capolavoro sembra essere tale Paternoster. Penso che, visto il cognome, avrebbe potuto anche scegliersi uno pseudonimo per pubblicare un libro simile, santo cielo.
Incrocio la ricerca e resto immobile a guardare la tremenda verità che mi restituisce lo schermo: abbiamo fatto gli italiani, ora dobbiamo fare l'italiano.

domenica 20 marzo 2011

Titolo e autore

Posso chiedervi un favore? Quando telefonate a una libreria non sforzatevi di essere originali; tanto finisce che chiedete tutti sempre la stessa cosa e il trovare pericolose costruzioni sintattiche per farlo non farà di voi clienti meritevoli di maggiori attenzioni. Personalmente se dopo tre secondi da che avete iniziato a parlare non siete già arrivati al dunque, io smetto di ascoltarvi. A volte appoggio il telefono e finisco di schedare un libro, oppure faccio una ricerca per un cliente in negozio. Ormai mi bastano poche parole per capire quanto tempo servirà al mio interlocutore per dirmi finalmente quale libro sta cercando; fatto quello che devo fare riprendo il telefono e chiedo semplicemente:
- Scusi, può ripetermi il titolo del libro?
La cosa migliore sarebbe di fare esattamente quello che vi chiede il libraio. Se vi chiede un titolo, dite un titolo, non dite altro.
Ora, capisco che chi si è premurato di raccontarmi la rava e la fava della sua tesi (o tesina, che dir si voglia), chi non ha potuto fare a meno di giustificare i motivi dei propri interessi librari con non meglio precisati "studi interdisciplinari" che sta compiendo, chi ha dovuto elencare con scrupolo tutte le librerie che non gli hanno dato ascolto, insomma chi ha impiegato più di tre secondi per venire al dunque, io capisco, dicevo, che trovi riprovevole il rispondere schiettamente alla suddetta domanda. Tuttavia, torno a chiedere, cercate di fare uno sforzo. Fatelo per me.
Qualche giorno fa ha chiamato un tizio. Solito siparietto, vorrei un'informazione, e cosa mai vorrà sapere, un libro, pensa un po', insomma alla fine riesco a strappargli il titolo.
- L'assedio di Ainis.
È vero, io ci ho messo del mio. Dovrei conoscere tutti i libri che vengono pubblicati, a maggior ragione se non sono novità, come fanno certi miei colleghi. Forse ero sovrappensiero, forse non avevo capito bene. Non lo so. Fatto sta che cerco "assedio di a@" e non trovo niente. Alice che dice? Niente. Google? Troppo, che è come dire niente. Allora, in modo molto professionale, senza staccare gli occhi dal video, chiedo il cognome dell'autore, come se avessi bisogno solo di una conferma. E' uno stratagemma che uso spesso, soprattutto con i titoli stranieri.
- Ainis.
Ripeto: in questo caso la colpa è mia. Ma se ti chiedo il titolo di un libro perché mi devi dire titolo e autore? Se ti chiedo il titolo mi dici il titolo, se ti chiedo l'autore mi dici l'autore, altrimenti se vuoi far vedere che sai tante cose vai anche a cercartelo da solo il tuo libro. E pure questo Ainis, che razza di cognome!

martedì 15 marzo 2011

Associazioni di pensieri

Oggi è stata una giornata particolare: il mio giovane collega ha trovato un nuovo lavoro (inutile dire che è migliore di questo) e ci lascia. La tensione si tagliava col coltello: il capo era nero, lui non sapeva più dove nascondersi, gli altri erano indecifrabili. A fine giornata ero stanco come se avessi lavorato. Così mi sono detto: schediamo un po' di libri e tiriamo l'orario di chiusura di questa bella giornata.
Naturalmente, mentre schedavo, la testa era da un'altra parte. Poi, improvvisamente, la mia attenzione è stata risvegliata da un'osservazione che merita di essere condivisa.
Stavo schedando dieci piccoli libri usciti oggi, casa editrice Baldini Castoldi e Dalai, argomento: unità d'Italia. Totalmente inutili, dunque con buone possibilità di essere venduti se collocati nella giusta posizione. Prezzo: 3,90 euro. Settantanove pagine.
Niente di strano se subito dopo non mi fosse capitata tra le mani una novità Einaudi, collana "Le vele", autore di spicco (Vargas Llosa). Numero di pagine: trentaquattro; prezzo di copertina 8,00 euro.
Ora, d'accordo l'importanza dell'autore, il prestigio della casa editrice, un certo snobbismo verso i libri troppo economici. Ma otto euro per trentaquattro pagine non sono troppi? Ci si lamenta del prezzo del cinema, ma almeno al cinema con otto euro passo due ore a divertirmi. Quanto ci metto a leggere trentaquattro pagine, tenuto conto che "Le vele" sono poco più grandi di un iPhone?
E' arrivato il momento di fare di tutta l'erba un fascio e dire chiaro e forte che il prezzo dei libri ha raggiunto livelli assurdi, e tutto questo, cari clienti, per poter sostenere quelle belle campagne di sconti del 25% che vedete in giro in questi giorni. Illudendovi di farvi risparmiare un mese gli editori vi spennano per il resto dell'anno e lo fanno in quello che avete di più caro, ovvero gli economici, che poi tanto economici non sono.
Sono come i cellulari di una volta: più erano piccoli e più li pagavi. Nel mondo anglosassone esistono due grandi categorie di prodotto, l'hardback e il paperback, il primo è rilegato e costa tanto, il secondo è in brossura, si sfascia con facilità ma in compenso costa poco. In Italia un PBE (Einaudi, tanto per cambiare) ha tutte le caratteristiche di un economico (un paperback) ma arrivi a pagarlo più di trenta euro, e comunque non meno di dodici.
Ah, quante cose avrei da dire...

giovedì 10 marzo 2011

Vedi, in una situazione diversa non avrei avuto problemi a dirti la verità. In fin dei conti è solo un blog con quattro lettori in croce. Ma, sarai d'accordo con me, io stavo praticamente giocando in casa e mettere a rischio l'anonimato con certi commensali poteva generare delle conseguenze imprevedibili. Ho preferito una piccola bugia (con annessa sceneggiata, lo ammetto) che spero mi avrai perdonato, assieme alla proposta del tavolo storto all'ingresso.

giovedì 3 marzo 2011

I migliori libri per la preparazione dei test INVALSI

Come se non bastasse il grande business degli esami di ammissione alle facoltà, con il loro corredo di inutili testi per la preparazione, manuali, eserciziari e compagnia (settore editoriale in cui il "migliore" è quello che contiene meno errori e il più "utile" è quello che ti fa perdere meno tempo in un'attività che non serve a nulla), ecco che ora fanno il loro ingresso in pompa magna i test INVALSI, questi sconosciuti.
Io non sono un esperto in materia ma da quello che ho capito i test INVALSI vengono somministrati agli studenti in momenti predeterminati del loro ciclo di studi per valutarne in maniera oggettiva la preparazione. Il loro obiettivo è di verificare il raggiungimento di obiettivi minimi di conoscenza. Sono nazionali, ovvero uguali per tutti, ma coinvolgono solo un campione di studenti estratti a sorte. La cosa più importante però è che i risultati dei test non fanno media, ovvero non incidono sul voto finale.
Detto questo, la domanda sorge spontanea: perché uno studente che di norma non si preparerebbe nemmeno per l'interrogazione più importante della sua vita dovrebbe sentir nascere dentro sé il sacro fuoco della conoscenza proprio in occasione dell'unico test che avrebbe interesse a consegnare in bianco (abbassando così gli standard di valutazione per sé e per tutti gli altri studenti italiani)? Risposta semplice: perché noi abbiamo dei libri da vendere.
Appena l'editore sente parlare di "test INVALSI" si domanda: come posso ricavare da una cosa inutile un qualcosa che si possa vendere? La strategia è sempre la stessa: prima di tutto suscito un bisogno, poi offro un oggetto che appaga questo bisogno indotto.
Quando si tratta di scuola i genitori si schierano immediatamente dalla parte dei figli e fanno di tutto per vanificare ogni tentativo di valutazione oggettiva dei risultati raggiunti dai loro pargoli, preferendo di gran lunga credere di aver allevato dei piccoli genii incompresi al posto dei mostriciattoli semianalfabeti che producono quelle misteriose opere grafiche che chiamano "verifiche scritte". Se c'è un motivo per scappare dal nostro paese è il pensiero che quando noi saremo vecchi l'Italia sarà nelle loro mani. Aiuto.
Comunque, per tornare ai nostri test, i genitori sono già abbastanza terrorizzati all'idea che i loro "tesori" non siano all'altezza di cotanta impresa e senza bisogno d'altro l'editore non deve far altro che offrire la soluzione più semplice: il libro per la preparazione al test. Vi prego, se entrate in una libreria, chiedete di visionare uno di questi libri; vi renderete conto del livello di difficoltà di cui stiamo parlando. Ebbene, nonostante questo i genitori cercano il solito "aiutino", quel qualcosa che aiuti i loro figli a "passare" il test INVALSI, a fare meglio degli altri. E noi abbiamo quello che cercano.
Sia chiaro: quello che abbiamo da offrire è solo fuffa, libri con domandine scopiazzate qua e là da qualche stagista annoiato, niente di più. Eppure li vendiamo come se fossero la chiave del successo. E i clienti ci chiedono pure i consigli: meglio questo o meglio quello? Facile, è meglio quello che mi garantisce il più alto margine di guadagno...
Siamo ad un passo dal reato di "circonvenzione di incapace", e per una volta non mi riferisco agli studenti.

giovedì 10 febbraio 2011

Giornata della memoria

Il primo cliente si avvicina con quell'andatura che hanno i vecchi la mattina, dopo che hanno fatto colazione al bar e hanno discusso la prima pagina del giornale col postino, anche lui rifugiatosi nel bar per godersi un po' di caldo al prezzo di un caffé. Insomma, l'andatura di un vecchietto che non ha più fretta di far niente. Gente così per tutto il giorno, penso tra me, ecco cosa ci vorrebbe.
Mi fa vedere un pezzo di carta. Tra tante cose scritte a mano in modo disordinato mi indica una parola, sorridendo come a dire che con quelli della sua età ci vuol pazienza. Antonella.
- Ho sentito alla radio stamattina che parlavano di un libro ma non ho fatto in tempo... non mi ricordo il titolo però so che l'autrice si chiama Antonella.
- Di cosa parlava il libro?
- Mah, dei "valori"...
Non è difficile: basta prendere l'ultima lettera del nome, Roberta, unirla alle doppie "l" di De Monticelli (le doppie restano sempre in mente, chissà perché...) e si ottiene il finale di un nome di donna: "lla". Si mescola il tutto e si ottiene Antonella. Oppure si punta sul libro che tutti stanno chiedendo, come ho fatto io, e con un po' di fortuna si risolve l'indovinello.
Il secondo cliente ha ordinato un libro, molto tempo fa. Sì, lo abbiamo avvisato ma lui era via e non è passato a ritirarlo, però adesso gli serve. Gli spiego che dopo un po' i libri ordinati e non ritirati vengono rimessi in vendita ma che se mi dice il titolo posso controllare: spesso questi libri rimangono comunque invenduti.
- Il titolo non me lo ricordo.
Ma come: ordini un libro che oltretutto ti serve, vieni in libreria e non ti ricordi nemmeno che libro è? Ma ti rendi conto?
- Se vi do il mio nome voi non riuscite a risalire...?
Eh già, noi abbiamo i computer, noi troviamo tutto. Diciamo la verità, il tuo è solo un modo maldestro e anche un po' arrogante di girare la frittata. Non ti ricordi che libro hai ordinato e vuoi anche avere ragione. Bravo.
Il terzo cliente è una specie di intellettuale decaduto. Mi chiede di tenergli da parte un libro perché non si ricorda se ce l'ha già. E tu cerchi di immaginarti come deve essere la sua biblioteca (perché è sicuro che avrà una stanza dedicata solo ai libri) e ti vedi davanti una di quelle dimore inglesi dell'Ottocento... Ma la realtà è che hai davanti uno che probabilmente compra un sacco di libri solo per il gusto di averli, ne legge pochi e quelli che legge se li dimentica. Figuriamoci se si ricorda quello che ha comprato.
Anche la cliente successiva ha ordinato un libro ma non si ricorda che nome ha lasciato per la prenotazione. Quando si dice una crisi di identità.
- Posso aver lasciato il mio da nubile o da sposata o quello della mia amica perché il libro è per lei, oppure ho dato quello di mio fratello perché pensavo che passasse lui a ritirarlo ma è dovuto partire...
Possono mancare gli studenti? Loro, molto semplicemente, ordinano il libro e si dimenticano di ritirarlo. No, non parlo di quelli che lo ordinano a venti librerie e poi lo trovano usato e buonanotte. No, ce ne sono di quelli che proprio se li dimenticano. Se li chiami, dopo un po', e gli dici che c'è un libro che li aspetta, sono anche contenti: «Ah, che bello, è arrivato? Sa che non me lo ricordavo nemmeno?». Sì, lo so.

giovedì 3 febbraio 2011

Regola n.3: "Il cliente è solo un pollo da spennare"

Il cliente entra e tutto improvvisamente si ferma. Lo conoscono bene, i miei colleghi. Questo è uno che viene una o due volte all'anno ma quando viene svuota la libreria. Se fosse un gangster sarebbe un pesce grosso, ma qui al posto dei banditi ci sono i librai.
Rimango immobile, ammirato dalla loro organizzazione. Il capo gli va incontro, lo saluta, lo mette a suo agio; non c'è fretta, nessun disturbo, abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Invece dietro le quinte tutti sono in fibrillazione: alcuni girano per i tavoli e mettono in ordine, in tutta fretta, lasciando in superficie i libri che sanno potrebbero interessarlo; un altro sta schedando velocemente alcune costose novità appena arrivate, roba che non avrà molte altre occasioni di essere venduta; un altro ancora sta compiendo l'operazione più ruffiana: ben sapendo a quale parte politica appartenga il malcapitato, si preoccupa di nascondere certi libri eccessivamente polemici. Non tutti, però; sa che una delle cose che ama il cliente è mostrarsi superiore alle critiche.
E così, un libro dopo l'altro, facciamo giornata. Il capo gioca con lui come il gatto col topo, lo lascia libero per un attimo di guardarsi attorno, vede dove si sta dirigendo, sceglie la sua esca e tac! il libro in mano per farglielo sfogliare, il pesce ha abboccato, avanti un altro. Se non sapessi che i soldi di questo cliente sono tanti e quasi tutti guadagnati male verrei colto dai rimorsi di coscienza.
Certo, questo è un caso limite a cui in verità ho assistito solo poche volte. La realtà quotidiana è comunque la stessa: il cliente che entra in libreria non è altro che una vittima della trappola ben architettata da un'associazione a delinquere composta da autori, editori, imbonitori televisivi e librai, i veri esecutori materiali di questo delitto che chiamiamo cultura.

giovedì 27 gennaio 2011

Saviano e Mondadori

Egregio dott. Saviano,
ho letto la breve intervista da lei rilasciata al Corriere della Sera dell'altro ieri e dopo una giornata di riflessione ho preso la non facile decisione di scriverle, consapevole del fatto che molto probabilmente lei non leggerà mai queste poche righe. Altri leggeranno e si indigneranno, non so ancora se con me o con lei; mi auguro solo che eventuali funzionari della polizia postale, solerti al limite dell'accanimento nei confronti dei piccoli blogger come me, non ravvisino gli estremi per una denuncia, alla quale le mie povere finanze non potrebbero in alcun modo far fronte. La prego quindi di leggere quanto segue con la massima serenità e senza alcun timore.
Leggo per l'ennesima volta nell'intervista sopra citata che sarebbe sua intenzione abbandonare la Mondadori per passare ad un'altra casa editrice; la invito a non prolungare oltre l'attesa. Capisco i suoi timori, visti i tempi difficili, ma le posso garantire che uno come lei non farà fatica a trovare un altro posto di lavoro. Io stesso, in passato, mi sono trovato nella sua stessa situazione: lavoravo in una libreria la cui dirigenza mi dimostrava quotidianamente la propria incapacità, nonché un palese disprezzo nei confronti del mio lavoro. Me ne sono andato e dopo poco tempo ho trovato un altro posto. Certo, nel mio caso ho dovuto accettare uno stipendio leggermente inferiore ma sono sicuro che questo non sarà il suo caso. Insomma, lei non è l'unico a voler cambiare posto di lavoro.
Lei, in quanto giornalista, sente il bisogno di pubblicare tutti i fatti, le decisioni, i ripensamenti che coinvolgono la sua scelta. Ce ne faremo una ragione. Sicuramente la sua lettera di dimissioni finirà in prima pagina sulla Repubblica ed io non posso fargliene una colpa, scrivere è il suo mestiere, lo sa far bene, è giusto che approfitti dell'occasione. Ma, glielo ripeto, faccia in fretta. Non ne possiamo più di questo tira e molla.
Capisco che andarsene senza altro pretesto che quello del cognome del suo datore di lavoro sia piuttosto difficile da giustificare agli occhi della maggioranza dei suoi lettori; d'altra parte sarebbe anche peggio se lei finisse col passare per uno di quelli che vuole farsi licenziare per non perdere l'assegno di disoccupazione. Dovesse succedere, io sarò il primo, nel mio piccolo, a difenderla da quest'accusa che troverei esageratamente calunniosa.
Leggo anche della sua sorpresa nell'apprendere che i monologhi di "Vieni via con me" sarebbero stati pubblicati, naturalmente non da Mondadori. Evidentemente lei non conosce ancora a dovere i meccanismi che regolano la filiera editoriale. Mi permetto di esporli brevemente, in modo da evitare che in futuro lei venga nuovamente colto di sorpresa. Una trasmissione televisiva che abbia anche la minima valenza culturale, o aspiri ad averne, o venga così etichettata al di là del suo reale valore, deve necessariamente tradursi in qualcosa che la gente possa comprare. Il prodotto televisivo non può generare un sufficiente ritorno economico per chi ha investito nella sua produzione. Occorre che la gente compri qualcosa. Persino "Chi vuol essere milionario" è diventato prima un gioco in scatola, poi un libro. Nel suo caso si tratta, mi pare di aver capito, di libro con dvd. Tutti sapevamo che dopo la messa in onda della sua trasmissione-evento sarebbe stato pubblicato un "documento"; l'unico dubbio era quando (il "con chi" ci interessava, e ci interessa, poco o niente). Ora che il quadro si fa più chiaro riusciamo a vedere la trasmissione televisiva per quello che è stata, un enorme messaggio promozionale nei confronti del libro. Ecco perché non c'è proprio niente di cui essere sorpresi.
Concludo questa lettera scusandomi per il tempo che le ho fatto perdere ed augurandole di tornare presto in libreria con un nuovo libro. Abbiamo bisogno di bei libri da vendere.
Cordialmente suo,
lememoriediunlibraio

domenica 23 gennaio 2011

Regola n.2: "Mai nominare i giorni della settimana invano"

Da un po' di tempo avevo voglia di scrivere una specie di decalogo del libraio. Oggi approfitto di una cosa che mi è successa questa settimana (una cosa che a dire il vero mi succede quasi tutte le settimane, per non dire tutti i giorni) ed inizio quest'opera titanica per la quale tutti mi saranno grati. Solo un'avvertenza: a parte la regola numero uno, che richiede una certa cura nella stesura e che sarà pubblicata più avanti, e la regola numero zero, ovvia, che recita semplicemente: «Non fare il libraio, non serve a niente», le regole successive saranno numerate solo per comodità di ricerca, non per importanza. Inutile dire che non si tratta di una serie di consigli per chi vuol fare questo mestiere ma solo di un manuale di sopravvivenza.
Dunque, come dicevo, martedì rispondo al telefono. Dall'altra parte c'è una signora che vuole informazioni su un libro ordinato e che a distanza di ben tre giorni lavorativi non è ancora arrivato. Possibile che nel Duemila uno ordina una cosa e non può sapere con certezza quando arriva? Possibile, possibile...
Comunque il problema è molto più complicato. Quando si parla con un cliente non bisognerebbe mai usare i giorni della settimana come indicazione temporale, nemmeno in maniera vaga. Il cliente capisce solo quello che vuole capire. Il suo cervello esclude tutto quello che non rientra nel modello "il libro arriva [giorno]", quindi se io dico «potrebbe arrivare verso mercoledì» quello che il cliente capisce è «(potrebbe) arriva(re) (verso) mercoledì». Tutto quello tra parentesi è solo un rumore di fondo.
A parte il fascino che continua a suscitare in me il funzionamento del cervello, per il resto è piuttosto difficile non incorrere in equivoci ed incomprensioni quando si parla con un cliente. Se dico che un libro potrebbe arrivare giovedì o venerdì posso essere sicuro che giovedì, poco dopo l'orario di apertura, mi si presenterà in negozio il cliente con un sorrisone così per ritirare il suo libro. Quasi mai il sorriso dura a lungo. Tutti si lamentano per il destino del congiuntivo ma mi pare che anche il condizionale non stia benissimo...
Naturalmente è anticommerciale dire la verità, ovvero rispondere candidamente: «non ho la più pallida idea di quando arriverà il tuo libro»; un mio collega recentemente ha raccontato di aver risposto ad un cliente particolarmente insistente: «Di "sicuro" c'è solo una cosa» ma nessuno ha potuto confermare la veridicità dell'episodio.
La soluzione sarebbe questa: «Il libro arriva a fine settimana», vago ma allo stesso tempo sincero e soprattutto probabile. Se non fosse che il cervello del cliente dà quasi subito un messaggio di errore, manca un parametro fondamentale, beep, riprova e controlla.
Anche questo fa parte del mestiere, capire fin dove ti puoi spingere e fermarti un attimo prima: «Venga venerdì sera, magari prima dia un colpo di telefono».

domenica 16 gennaio 2011

Dire quasi la stessa cosa

D'accordo, io non posso dire di sapere l'inglese, lo leggo a malapena, se qualcuno mi chiede dov'è il bagno lo prendo per mano e lo accompagno fin sulla porta piuttosto che dare indicazioni, se qualche inglese ha la sventura di trovare me all'altro capo del telefono beh, peggio per lui. Insomma, lingue straniere zero. Sarà per questo che tutti i clienti che dimostrano una conoscenza della lingua straniera superiore alla media mi risultano immediatamente odiosi. La lingua serve per comunicare; una volta che ci si capisce... tutto il resto è superfluo.
Eppure i clienti, soprattutto gli adulti ma ultimamente anche qualche giovinastro, devono sempre sfoggiare il risultato di ore e ore di corsi e soggiorni all'estero. Costruzioni che neanche Cicerone, frasi idiomatiche, di tutto pur di non farsi capire. Nel quotidiano i peggiori sono quelli che per far sentire a tutto il reparto la loro pronuncia oxfordiana si impegnano per rendere incomprensibili anche le parole più semplici. Naturalmente in cima alla classifica ci sono le madri che pronunciano all'inglese anche i nomi dei personaggi dei libri per bambini, quelli che tutti abbiamo sempre pronunciato così come si scrivono: Gulliver, Peter Pan... Bei tempi. Oggi ai bambini di un anno si regalano libri in inglese perché così iniziano... Ma iniziano cosa? A un anno! Ovvio che poi queste vittime innocenti avranno qualche deficit cognitivo certificato fin dalla scuola dell'infanzia, perché se parli inglese perfettamente ma tua madre che vive tra Milano e Londra s'è dimenticata di insegnarti l'italiano, finisce che a scuola fai fatica e ti danno l'insegnante di sostegno. Forse è per questo che adesso si sono inventati di insegnare in inglese anche le materie non linguistiche.
La pronuncia inglese risulta incomprensibile per gli stessi inglesi i quali, per ovviare a questo non piccolo problema, hanno inventato lo spelling. Grande invenzione. Geniale. No, non sto scherzando. Il problema sono gli italiani che per non sembrare provinciali dicendo «"D" di Domodossola» si inventano cose del tipo: "D" di Denver, "M" di Montreal, "H" di Hannover e soprattutto, la migliore, "K" di Kursal. Io non so nemmeno dov'è Kursal, figuriamoci se so come si scrive. Tu sai l'inglese, tu viaggi, magari a Kursal ci sei pure stato. Io no. Come faccio a sapere che Kursal si scrive con la "K"? Per quanto ne so io Kursal potrebbe anche non essere una città...
Tuttavia il rapporto del cliente di una libreria con la lingua straniera non si limita alla pronuncia. Ci sono persone per cui un libro inglese tradotto in italiano ha sempre bisogno, oltre che di un giudizio sul contenuto, anche di due parole sulla traduzione. Com'è la traduzione? Secondo lei è meglio questa traduzione o quella? Il libro è bello, peccato che la traduzione in certi punti... Ah, no, io lo voglio in lingua perché non sopporto le traduzioni italiane!
Benvenuti alla sagra dei palloni gonfiati. Tutti esperti. Tanto più che per valutare una traduzione dovresti come minimo leggere il libro in originale e poi in traduzione e se lo fai o sei in malafede o vuol dire che hai tempo da perdere. Dovresti essere un traduttore tu stesso; invece così è come se dicessi: per tradurre non ci vuole niente, lo potrei fare anch'io e lo farei meglio... Ma la maggior parte di queste persone sono solo dei cialtroni e io, per non sbagliare, faccio di tutta l'erba un fascio: appena qualcuno fa un accenno alla traduzione di un libro lo inquadro subito e lo tratto di conseguenza.
Lo ammetto, giudicare negativamente il lavoro degli altri è una cosa estremamente gratificante; però non tirate in mezzo il libraio, soprattutto se non sa l'inglese e non ha nessuna stima di voi.

lunedì 10 gennaio 2011

Il piacere di perdersi tra i libri - 2° parte

Alla gente piace venire in libreria però appena può manda qualcun'altro. Non potete nemmeno immaginare la quantità di persone che vengono in negozio per acquistare o ritirare libri per conto terzi. La mamma per la figlia, il marito per la moglie, il nonno per il nipote... A volte sembra che sia stato organizzato volutamente una specie di girotondo: io ritiro il tuo, tu ritiri il mio. Per non parlare di quelli che mentono, dicono che il libro non è per loro (sappiamo benissimo di che tipo di libri stiamo parlando).
I ritiratori si dividono in due categorie: gli organizzati e i disorganizzati. Gli organizzati avanzano verso il banco informazioni con il braccio teso ed un biglietto in mano. Non parlano. Non vogliono responsabilità. Di solito il biglietto è scritto dall'acquirente finale, quindi non è necessario che sappiano cosa c'è scritto sopra, come quando vai dal farmacista con la ricetta scritta dal medico: son cose vostre, io non c'entro niente. Impeccabili esecutori dei compiti loro assegnati, ottimi lavoratori, perfetti soldatini nella guerra quotidiana contro il buon senso.
Decriptare il biglietto è compito del libraio che dimostra in questo una certa propensione per la paleografia. E a volte una piccola dose di sadismo. Basta poco: «Ma vuole l'edizione rilegata o quella economca?». Ecco fatto. Il ritiratore è chiamato in mezzo, deve prendere inaspettatamente una decisione. Panico. Telefono. Non risponde. Si allontana. Esce. Il bello di avere uno stipendio basso e fisso è che puoi anche perdere una vendita in cambio di una piccola soddisfazione.
Poi ci sono i disorganizzati. Oggi è entrato in negozio uno che doveva ritirare «un libro sulle armi a nome "Barbara"». Naturalmente nessuno riserva un libro a nome "Barbara": cognome nome e telefono, altro che "Barbara". Partiamo bene, penso tra me.
- Scusi, che libro era?
- Un libro sulle armi.
- Sì, ma si ricorda il titolo?
- No.
- Il cognome di Barbara?
- No.
- Quando ha chiamato?
- Ma a computer non risulta?
Ecco, quando smettono di rispondere e cominciano a contrattaccare vuol dire che hanno paura. Diventano aggressivi come animali selvatici. Era una cosa da niente, cinque minuti al massimo e guarda qui in che casino mi sono messo. E poi questo qui che sembra faccia apposta.
Tranquillo, sto veramente facendo apposta. Godo nel metterti in difficoltà perché devi imparare che nella vita bisogna sempre essere preparati agli imprevisti. E chi ti ha mandato la prossima volta deve pensarci due volte: mai mandare una scimmia a fare il lavoro di un uomo. Tu ordini il libro, tu lo vieni a ritirare. Non ci credo che non hai tempo. Il tempo per i saldi scommetto che lo trovi. Abiti lontano? Potevi pensarci prima; magari vicino a casa tua c'è una piccola libreria che sta chiudendo per colpa di gente come te, tutta internet e telefono. Che poi, Barbara, parliamoci chiaro, non mi sembra che un libro sulle armi sia una cosa così urgente, no?
Tra i disorganizzati i peggiori sono i fattorini. Questi vengono e sono veramente all'oscuro di tutto. Ed hanno una fretta bestiale. Al minimo accenno di esitazione da parte tua si girano e se ne vanno, mica hanno tempo da perdere. Di solito articolano a malapena il nome dell'azienda per cui lavora il destinatario e tanto deve bastare. Con loro c'è veramente poco da fare ma d'altra parte è il loro lavoro.
Lo studente, categoria a parte. Lui riesce a non ricordarsi che libro ha ordinato ma ha la faccia tosta di presentarsi di persona in libreria. Come sparare sulla Croce Rossa. Nel suo caso è di vitale importanza avere una persona che lo assiste: un insegnante di sostegno, un obbiettore, una badante, qualcuno insomma che si prenda cura di lui. In certi casi anche un libraio può andar bene.

domenica 9 gennaio 2011

Il piacere di perdersi tra i libri

Mi piace andare in libreria, perdermi tra i tavoli, curiosare negli scaffali alla ricerca di libri introvabili...
Balle.
Il cliente di oggi non ha tempo di girare a vuoto; se viene in libreria vuole essere sicuro di trovare il libro. Non esce nemmeno di casa se prima non ha telefonato. Ce l'ha questo libro? Me lo mette da parte? Non so quando vengo perché sto partendo per New York...
Al cliente piace entrare in libreria di corsa per evitare il senegalese sul marciapiede e fiondarsi al banco informazioni oppure, se c'è troppa gente in coda, preferisce sequestrare il primo commesso che vede (libero o no non importa) sventolandogli una lista di libri sotto il naso ed urlando in modo disordinato: che i libri servono per la tesi della figlia; che ha fretta perché ha parcheggiato in doppia fila; che i libri in questione non si trovano da nessuna parte; che una volta eravamo più forniti.
Il cliente non aspetta. Lei mi garantisce che il libro ordinato sabato sera arriva lunedì mattina, vero? Come no... Ecco perché le peggiori scenate le fanno quei clienti che per un motivo o per l'altro non trovano il libro che erano sicuri di trovare. Era da parte e adesso non c'è più; ho telefonato e mi hanno detto che c'era; il sito lo dà disponibile. E invece il libro non c'è.
Non c'è perché nel frattempo qualcuno, invece di starsene a casa a telefonare ha preso e con le sue gambette è venuto in negozio e ti ha battuto sul tempo. Non c'è perché per qualche misteriosa macumba le giacenze del computer non corrispondono quasi mai a quelle reali del negozio (gli inventari si fanno per questo). Non c'è perché dopo due settimane che il libro era da parte a tuo nome qualcuno si è giustamente stancato e te lo ha venduto. Non c'è perché il tono che hai usato al telefono non mi è per niente piaciuto e allora ho deciso di farti fare un viaggio a vuoto, tanto poi mi sarei rifugiato in una delle scuse precedenti.
E quello che scatena la furia del cliente non è tanto l'assenza del libro, quanto la perdita del suo prezioso tempo. Uno che vive sempre connesso, che ha sempre tutto sotto controllo non riesce a concepire che esista ancora un buco nero come la libreria, un posto in cui non sai mai quanto tempo ci metti per fare quello che devi fare perché il libro che cerchi non è mai al suo posto (per questo si dice che bisogna "cercare" un libro: perché non si sa mai dov'è) e in cui il commesso ti dice che «ci vuole un po' di pazienza, adesso glielo trovo». Pazienza?

lunedì 3 gennaio 2011

Il proposito per il 2011

Va bene, adesso basta. Lo so, tutto questo non depone a mio favore, la mia immagine ne uscirà un po' ammaccata perché non è certo da persone mature ma insomma ci sono cose che a un certo momento vanno fatte. E io, mister "5 CUD in 5 anni" sono uno che certe cose ha imparato a farle e a farle al momento giusto, anche contro il suo carattere. Quindi è deciso: da domani si aggiorna il curriculum, si raccolgono gli indirizzi e... si ricomincia.
Oggi sono tornato in libreria dopo una settimana di ferie, probabilmente le meno meritate della mia vita. Una settimana di pranzi, cene, stanze riordinate, fogli appallottolati e (pensa un po') scaffali della libreria di casa messi a posto. Scrivania libera. Ubuntu reinstallato su un nuovo hard disk, pc tirato a lucido. Piccoli lavoretti che attendevano da anni: fatti. E poi un po' di tempo per leggere i miei libri e per sentire che la mia vecchia ferita si stava piano piano riaprendo, autolesionismo puro e irresistibile. Perché il mio lavoro non è questo, il mio lavoro è un altro. Io sono un insegnante e un insegnante, per definizione, deve insegnare. Altro che vendere libri.
Si trattasse almeno di fare cultura, capirei. Ma questo è commercio della più bassa lega e non mi si venga a dire che vendere libri non è come vendere pentole: è esattamente la stessa cosa con in più l'aggravante che chi vende pentole crede nel suo prodotto, io no. Io so che buona parte dei libri che vendo non verranno letti; so che questo è probabilmente un bene, visti i titoli; so che tutti comprano le stesse cose per un bisogno indotto dalla televisione o dai giornali. Leggete questo: e tutti corrono. Leggete quello, leggete quell'altro...
Oggi, dopo neanche un'ora, ho detto ad un collega, l'ultimo arrivato e forse uno dei più svegli di tutto il negozio: «Io al Natale prossimo non ci arrivo». Risposta: «Neanch'io». Avrei preferito un finale da eroe solitario, invece mi toccherà vedere un novellino che mi batte sul tempo.
Telefonate assurde di studenti che il 3 di gennaio si svegliano e si accorgono di non avere i libri per l'esame; una madre che ordina i libri per sua figlia che è su un autobus di ritorno da Barcellona; un tizio di Brindisi che dopo avermi detto che sul sito della mia libreria il libro che cerca è dato esaurito e non ordinabile mi chiede candidamente se può ordinarlo; e tutto questo in meno di un'ora. Ho detto a un altro collega: «Se va avanti così finisce che ammazzo qualcuno» e lui: «Ieri ho visto "Fascisti su Marte", una figata!"».
E' arrivato il momento di cambiare zona, forse cambiare vita.