mercoledì 22 maggio 2013

Dan Brown
Inferno
Mondadori 2013

In molti faranno l'errore di abbandonare questo libro dopo cinquanta pagine. E come biasimarli?
L'inizio è del tutto improbabile e bisogna essere molto indulgenti per non chiudere tutto dopo la fuga dall'ospedale. Tuttavia, lo dico subito, chi avrà la pazienza di arrivare a pagina 400, o giù di lì, si troverà di fronte al colpo di scena, il primo di tutto il libro, e forse rivedrà il giudizio anche su alcuni passaggi un po' forzati delle pagine precedenti. Intendiamoci: niente giustifica un momento come quello dello scambio della parrucca. Però devo ammettere che la parte finale del romanzo rimette un po' le cose a posto. L'impressione finale è che la trama sia stata ben congegnata per ottenere l'effetto sorpresa e, devo ammetterlo, con me ha funzionato. Mi è sembrata una buona idea anche iniziare il romanzo con Langdon che perde la memoria degli ultimi due giorni; questo lo costringe a compiere un'indagine a ritroso per capire come mai si trovi ora inseguito da tutti e con una ferita di pallottola in testa. I vaghi ricordi riaffiorano sotto forma di sogni, rendendo questa sorta di premonizioni qualcosa di concreto su cui lavorare. Come al solito il ritmo è serrato, tutta l'azione si svolge nel giro di ventiquattro ore.
Il libro si legge bene anche perché gratta gratta le cinquecentoventi pagine del volume si ridurranno si e no a trecento quando uscirà il tascabile: ampi margini, spazi bianchi a fine e inizio capitolo, insomma tutto quanto serve per giustificare la spesa folle di venticinque euro. E poi i capitoli non sono più lunghi di quattro pagine, giusto il tempo di qualche stazione di metro, il quarto d'ora avanzato della pausa pranzo, i dieci minuti prima di andare a dormire. Dovete credermi, l'ho letto in una normale settimana lavorativa, senza particolare impegno.
Da ultimo, visti i precedenti, c'è da ringraziare "e cielo e terra" che ci siano state risparmiate le interpretazioni fanta-esoteriche della Commedia, alla "Codice da Vinci".
E con questo finiscono le cose positive di "Inferno".
A livello di editing è stato fatto un errore grossolano nel non usare un carattere diverso per distinguere i pensieri dei personaggi dai dialoghi, limitandosi a usare due tipi diversi di virgolette. Non si capisce niente, anche perché la scrittura di Dan Brown non aiuta a fare chiarezza.
Dire che il primo colpo di scena arriva a pagina 400 è un modo per dire che tutto quello che avviene prima è ampiamente prevedibile per un normale lettore italiano. Un americano forse avrà qualche difficoltà a sciogliere l'enigma CATROVACER, ma per un professore di storia dell'arte che è stato spesso in Italia e che legge Dante, e dunque si suppone conosca piuttosto bene l'italiano, è veramente inconcepibile che servano più di quaranta pagine per trovare la soluzione. Per non parlare del numero di pagine che gli servono per recuperare un testo della Divina Commedia da consultare e tutto questo perché Langdon, che tiene regolarmente corsi universitari su Dante, non ricorda il contenuto del Venticinquesimo del Paradiso. Il personaggio di Langdon è frequentemente in contraddizione culturale con sè stesso: conosce i particolari, ricorda i passaggi segreti dei palazzi, riconosce edizioni rare della Commedia ma cade su cose che si trovano su qualunque manuale di storia dell'arte, non ultima la pericolosa classificazione di Vasari come artista del Rinascimento.
Questo è un problema che il personaggio di Langdon si porta dietro da quando è nato. Ricordo solo a titolo di esempio, in "Angeli e Demoni", il suo stupore nello scoprire che in Santa Maria del Popolo a Roma c'è un'opera di Raffaello.
Il fatto è che Dan Brown ha creato un esperto di arte che non riesce a gestire perché è lui stesso a sapere poco o niente di arte, in particolare di arte italiana, e sul quale però continua ad insistere avendo costruito su di lui la sua fortuna.
Naturalmente non è solo Langdon a risentire di queste lacune. Ogni volta che il narratore azzarda qualche giudizio critico su un'opera, sia pure solo un aggettivo, o è banale ("famoso" è sicuramente il più frequente) oppure scrive grandiose stupidaggini. Alcune descrizioni fanno rimpiangere le Guide Verdi del Touring e comunque nessuna va al di là del compitino. Immagino che gli americani, che ancora sognano "Vacanze romane", si possano esaltare per così poco; noi italiani abbiamo il dovere di essere molto più esigenti.
Anche la trama, nonostante le qualità di cui ho dato conto prima, non è esente da pecche. Il testo che Langdon trova sul retro della maschera inizia con una citazione letterale di Dante ma prosegue con versi dalla metrica zoppicante (troppo difficile farsi scrivere qualche endecasillabo da un italiano?); i versi sono scritti in forma di spirale e ci si aspetterebbe, visto che il professore è esperto in simbologia, che questa spirale nasconda chissà quale segreto... invece niente. Così come non ha nessun riscontro nel testo la tanto pubblicizzata trovata dell'anagramma del giorno di uscita del romanzo che dà come risultato il Pi greco (3,1415).
Ma la mancanza peggiore riguarda proprio l'elemento su cui si basa tutto il romanzo, ovvero la presenza incessante di riferimenti alla Divina Commedia. In realtà non esiste alcun legame logico fra il progetto distruttivo del "cattivo", le sue motivazioni, la sua realizzazione e il testo dantesco. L'unica giustificazione che viene data è la passione che il "cattivo" nutre per Dante e la sua opera, tutto si riduce a questo. L'"Inferno" non ispira le sue azioni ma è soltanto la chiave per risolvere tutti gli enigmi che di volta in volta crea per... Ecco un'altro grosso problema: perché il "cattivo" ha creato questa caccia al tesoro a tema? La motivazione, che viene svelata più o meno verso la metà del libro, è sconcertante: voleva permettere a una certa persona (che per altro non avrebbe alcun motivo per conoscere Dante e la Commedia, trattandosi di un medico) di raggiungere il luogo in cui "il mondo è stato cambiato per sempre". Ma, a creare ulteriore confusione, si scoprirà alla fine che l'evento attorno a cui ruota tutto il romanzo sarebbe dovuto succedere molto prima del previsto, dunque perché nascondere "sotto 'l velame de li versi strani" qualcosa che non corre il rischio di essere evitato visto che è già successo e che, soprattutto, si vuole far scoprire, anche se in ritardo? A questo punto mi tocca rivalutare anche l'ambizioso "Catone", romanzo della Asensi di qualche anno fa, molto più strutturato sul poema dantesco anche se crollato verso la metà.
Nel tentativo di non svelare il finale non sono stato molto chiaro, me ne rendo conto. Abituatevi, se decidete di leggere "Inferno".

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