martedì 1 ottobre 2013

Nel frattempo, gli editori...

Forse non tutti lo hanno notato ma da qualche anno è in atto, da parte dei grandi gruppi, una strategia editoriale che, nonostante tutti i miei sforzi, continua ad apparirmi incomprensibile. Mi riferisco alla nascita di quelle che, in assenza di definizioni più precise a me note, io chiamo collane sovraeditoriali. Sono collane nelle quali confluiscono quasi esclusivamente ristampe di titoli sicuri, spesso semplicemente i più venduti, ma la loro caratteristica più interessante è il fatto di pescare indifferentemente dal catalogo di più editori.
Nei "Numeri Primi", che per quanto ricordi è stata la prima collana di questo tipo (e comunque la più invasiva) sono uscite nuove edizioni dei pezzi forti di Mondadori, Einaudi, Piemme, Sperling e Frassinelli. In pratica un dream team che manda in campo in un colpo solo Giordano e Volo (Mondadori), Murakami e Nesbo (quest'ultimo passato da Piemme, che lo ha scoperto, a Einaudi), Hosseini e Brosio (sì, Brosio vende bene, è inutile fare ironia) e persino la Sveva, come la chiamano dalle mie parti. La grafica, come in ogni collana, tende ad essere uniforme, con le dovute eccezioni. E proprio qui, nella grafica, si nasconde credo il senso di tutta l'operazione: guardando i "Numeri Primi", così come i neonati "Pickwick", è praticamente impossibile distinguere l'editore di appartenenza.
Prima di proseguire sarà opportuno un chiarimento. I non addetti ai lavori potranno domandarsi leggittimamente come sia possibile che editori in concorrenza fra loro possano rinunciare alla visibilità del proprio marchio per annullarsi in un'alleanza che non sembra portare alcun beneficio a titoli già di per sé molto forti. In realtà tutti questi editori fanno parte di un unico grande gruppo editoriale, il gruppo Mondadori, e pur sopravvivendo le specificità dei singoli soggetti e non mancando la concorrenza (e i colpi bassi, come nel caso citato di Nesbo), si può tranquillamente dire che le strategie editoriali sono ben coordinate. Prova ne sia l'uscita a distanza di un mese abbondante di Dan Brown e Kaled Hosseini, un palese patto di non belligeranza tra Mondadori e Piemme.
Giusto perché non si creda che ce l'ho con Mondadori, ricorderò che anche Rcs, altro gruppo editoriale cui fanno capo Rizzoli, Bompiani e Adelphi, è ricorso allo stesso stratagemma quando ha lanciato la collana "Vintage". Il gruppo Messaggerie non ha avuto bisogno di inventarsi una nuova collana dato che ormai la narrativa di Garzanti, Longanesi, Nord, Leggere, Fanucci e compagnia, complici anche le fascette che nascondono marchio e nome dell'editore, sono praticamente indistinguibili. Feltrinelli, il quarto grande gruppo editoriale italiano, è arrivato per ultimo ma ha giocato il carico. La sua collana si chiama... Feltrinelli, e coinvolge Voland, l'editore della Notomb, e Fandango se non ricordo male; e così, giusto per non passare inosservati, hanno dato ai libri una forma quasi quadrata che da mettere nello scaffale è una meraviglia. Però c'è da dire che in quest'ultima collana escono solo novità, per ora.
Si vede bene, anche da un'analisi sommaria come questa, che non siamo di fronte all'iniziativa estemporanea di qualche direttore editoriale impazzito; questa è una tendenza precisa, inequivocabile e a quanto pare largamente condivisa, la perdita cioè dei propri tratti distintivi (solo a livello grafico, certo, ma cosa resta a distinguere certi editori se non la grafica?) per annullarsi in un pastone di bestseller tutti uguali. Fin qui mi è tutto chiaro. Quello che non riesco a capire è l'obiettivo finale di questa operazione. Se, come credo, stiamo andando verso una drastica e dolorosa semplificazione, potremmo assistere a breve ad un processo imprevisto per cui a soccombere non saranno i piccoli editori, ininfluenti nel grande gioco editoriale italiano, quanto piuttosto i pesi medi, quelli con un grande passato alle spalle ma un'identità difficile da definire nel presente. Forse il fatto che Baldini abbia chiuso i battenti liberando i suoi pezzi da novanta (Faletti e Busi) fa parte della stessa strategia. La tanto temuta perdita di bibliodiversità sta avvenendo sotto i nostri occhi non per colpa della crisi o della scarsa propensione all'acquisto di libri degli italiani, ma più banalmente per una semplice legge di mercato che impone a chi è grande di crescere sempre di più a spese dei suoi concorrenti. Fino al crollo.

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