domenica 7 febbraio 2010

Romano Montroni
Libraio per caso
Marsilio 2009

La lettura si interrompe improvvisamente a pagina 221, quando ho da poco superato la metà del libro. Scopro con stupore, ma anche con un certo sollievo, che le pagine rimanenti sono dedicate alla trascrizione di una sorta di rassegna stampa il cui protagonista è ovviamente Montroni.
Niente di strano: il libro è una lunga autocelebrazione della carriera di uno che ha iniziato sì a fare il libraio per caso (come tutti, del resto) ma che, pur essendo diventato uno dei più importanti personaggi del panorama librario italiano, al di là di qualche aneddoto, racconta veramente poco di interessante.
Certo, le persone citate sono molte, alcune famose altre sconosciute, ma su di loro alla fine del racconto non sappiamo nulla più di quanto sapessimo all'inizio. L'impressione è che tutti questi nomi servano solo per confermare nel lettore l'idea che Montroni abbia raggiunto il suo scopo, ovvero sedere alla stessa tavola degli "intellettuali" pur essendo partito da zero. Sarà vero? E soprattutto: è a questo che deve puntare un bravo libraio?
Montroni è sicuramente un personaggio di primo piano nel mondo delle librerie, tutti lo conoscono (a parte me, prima di leggere il libro), anche l'ultimo arrivato ha letto il suo "Vendere l'anima", ma la sua autobiografia poteva essere più sobria; in fin dei conti non è che la storia della sua carriera ed il suo pubblico di lettori sarà in larga parte composto da colleghi.
Tra le righe si intuisce che l'immagine di sé che Montroni cerca di definire non è priva di ombre. La stima che i suoi collaboratori hanno nei suoi confronti è la stessa che posso avere io per il mio capo: rimane comunque il mio capo, anche quando fa e dice cose che non mi trovano d'accordo. Montroni considera una vittoria l'essere stato il primo a tenere aperto il negozio di domenica: per uno di sinistra è proprio un bel risultato ma non credo che i suoi dipendenti siano stati così orgogliosi di questo primato.
Montroni, a capo della catena delle Feltrinelli, non affronta, se non di passaggio, il problema del rapporto con le piccole librerie indipendenti. Mi sembra troppo riduttivo liquidare la questione con un semplice dualismo tra dinamici ed immobili, innovativi e antiquati. Se le librerie chiudono la responsabilità è anche delle grandi catene: non è vero che queste intercettano nuovi lettori, piuttosto esse hanno possibilità economiche non paragonabili a quelle dei loro concorrenti, e questo è tutto. Se non devi preoccuparti di come paghi le fatture alla fine del mese allora ti puoi permettere di organizzare presentazioni, fare iniziative, essere presente nella vita culturale della tua città e di conseguenza puoi allargare la tua clientela, magari stando al passo con gli sconti della grande distribuzione (il 15% di sconto sui libri significa lavorare quasi gratis, soprattutto se ti sei affidato a Fastbook che di base ti fa un 27% netto).
Insomma, Montroni è un dirigente e ce la racconta da dirigente. E' per questo forse che alla fine l'aspetto più interessante del libro rimane la storia della Feltrinelli di Bologna e della figura di Giangiacomo che emerge come un personaggio chiave della cultura italiana.

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