mercoledì 27 aprile 2011

La metà del mio lavoro consiste nel capire cosa passa nella testa dei miei colleghi, e comportarmi di conseguenza. Io sono uno psicologo e il mio lavoro andrebbe riconosciuto e possibilmente remunerato.
Il capo oggi mi passa vicino mentre sto sistemando un tavolo e senza fermarsi, come se parlasse fra sé, mi dice sommessamente:
- Stai attento...
Stai attento a cosa? Ho tolto un libro di Kung, il teologo più letto dagli intellettuali italiani dopo Mancuso e, per una settimana, dico: una settimana, cerco di dare visibilità a qualcuna delle decine di libri su Giovanni Paolo II che tu, non io, hai avuto la bella idea di ordinare. E non venirmi a dire che li dovevi prendere per forza visto che tu, per forza, non fai nemmeno le ferie. E allora che faccio?
- Tolgo Brosio?
Eh no, Brosio non si può togliere, ne abbiamo una vagonata e lo dobbiamo vendere velocemente...
- Martini? Tanto Pasqua è passata...
- Eh ma sai, Martini è uno che si vende sempre...
E allora fattelo tu sto benedetto tavolo (e mai aggettivo fu più appropriato)!
Poi c'è quell'altro che è appena tornato da tre giorni di ferie ed è incazzato come se lo avesse morso il cane. Ci sono persone nate per lavorare e lui è una di queste. Dato che lui è un libraio e noi siamo degli incapaci la sua assenza rischia di mandare tutto all'aria in ogni momento, questo è quello che pensa mentre è in ferie. E quando torna non fa che trovare lampanti conferme alla sua teoria.
Infine c'è il Capro Espiatorio, uno che già di suo ne combina di tutti i colori e che per questo viene immancabilmente evocato ogni volta che c'è qualcosa che non va, anche quando non c'entra niente. D'altra parte sappiamo tutti che le dinamiche di gruppo hanno regole spietate.
A volte ragionare con i colleghi è quasi più frustrante che farlo con i clienti.

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