sabato 24 ottobre 2009

Jo Nesbo
Nemesi
Piemme 2007

«Io chiedo solo che venga fatta giustizia». Quante volte sentiamo ripetere questa frase dopo un incidente, un'aggressione, un omicidio? Sono i parenti delle vittime a pronunciarla, quegli stessi che qualche mese dopo, alla lettura di una sentenza che non abbia inflitto il massimo della pena all'imputato (o magari lo abbia perfino assolto) gridano ai microfoni che «Questa non è giustizia!».
Nemesi. Vendetta. Questo vuole la società e a questo serve la giustizia. Una vendetta istituzionale che compensa l'uomo dall'impossibilità di farsi giustizia da sè. Ma soprattutto, ed è questo l'aspetto più inquietante, una vendetta che è necessaria in quanto "catarsi", purificazione.
Oslo, due indagini di cronaca, una rapina in banca ed un suicidio. Un commissario, Harry Hole, capace di andare al di là delle apparenze. Ed un unica forza che muove i personaggi come le marionette di un teatrino: la vendetta. Sono questi gli ingredienti principali di "Nemesi", il secondo romanzo di Jo Nesbo tradotto in Italia da Piemme, forse con qualche refuso di troppo.
Il personaggio di Harry Hole non è molto diverso dallo stereotipo dell'investigatore emarginato, solo contro tutti, geniale nelle sue intuizioni, scontroso ma leale... insomma abbastanza prevedibile, eppure c'è qualcosa che lo rende simpatico. Forse è la sua figura allampanata del tutto in contrasto con l'immagine del duro (d'altra parte, un detective norvegese...), forse è la fragilità che si nasconde dietro la facciata, forse anche una certa incoerenza nelle proprie azioni. Anzi, è sicuramente questo l'elemento che meglio descrive il personaggio: alcolizzato che non ha smesso con la bottiglia, amante affettuoso ma capace di tradire, duro poliziotto che, se ricordo bene, non usa mai la violenza. E per questo imprevedibile.
Nesbo costruisce una trama complessa e la sviluppa senza mai perdersi; si muove liberamente nei diversi livelli narrativi alternando la terza persona alla prima, senza schematismi rigidi, a seconda del risultato espressivo che vuole ottenere. Lo stesso vale per i livelli temporali. Emblematico il caso della storia secondaria di due personaggi, forse il momento più divertente
di tutto il romanzo, che si conclude con una fuga in avanti nel tempo per dirci che, dopo qualche anno, i due si sarebbero rincontrati ed avrebbero parlato ancora della loro avventura.
Nesbo si dimostra abile nel tenere viva l'attenzione attraverso espedienti narrativi particolarmente riusciti come le descrizioni dei sogni di Hole, che si fondono con la realtà in un modo ben più straniante di quanto possa avvenire al cinema.
Nel complesso il romanzo è avvincente e ben scritto. Alcuni personaggi non sono ben definiti ma occorre ricordare che si tratta di un sequel, quindi per alcuni aspetti bisogna rifarsi al precedente "Il pettirosso", sempre pubblicato da Piemme. Lo stretto legame con il romanzo precedente (e con quello successivo, come si evince dal finale) è forse la nota negativa di maggior rilievo. A pagina 292 viene descritto brevemente un improbabile tramonto sul mare visto da una spiaggia del Brasile.

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